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Quella "relazione complicata" tra gli istituti di credito e Francoforte

 

Banche contro autorità monetarie: l'accusa è di decidere le politiche senza tener conto delle conseguenze sulla redditività. Altri fronti si potrebbero aprire anche con le assicurazioni e gli schemi pensionistici aziendali

 

di FERDINANDO GIUGLIANO

 

22 settembre 2016

 

ROMA - Su Facebook si chiamerebbe “relazione complicata”. L’era dei tassi sotto zero ha incrinato non poco il rapporto fra istituti di credito e banchieri centrali. I primi accusano le autorità monetarie di decidere le loro politiche ignorando la redditività delle banche. I secondi, come ha fatto Mario Draghi ieri, rispondono che il problema sta nel modello di business obsoleto degli istituti, nonché nei loro costi, eccessivi rispetto alla concorrenza delle più snelle aziende di tecnologia.

 

La scarna evidenza empirica esistente sembra al momento dare ragione a Draghi. Se è vero che i margini per le banche si sono ridotti, per consumatori e aziende sarebbe stato più difficile ripagare i loro prestiti in assenza delle politiche di stimolo della Banca Centrale Europea. Come evidenziato dalla stessa BCE a giugno, i profitti delle banche dell’eurozona sono aumentati fra il 2014 e il 2015, nonostante i tassi negativi.

 

Il dibattito, però, non è affatto concluso. Fino all’anno scorso, gli istituti hanno potuto beneficiare di grandi guadagni sul loro portafoglio di titoli di Stato. Questi si ridurranno ora che i rendimenti su Bund e BTP sono ai minimi storici. Non è un caso se altri banchieri centrali si sono detti contrari ai tassi negativi. Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, ha già detto che non intende utilizzarli visti i loro effetti collaterali.

 

Tuttavia l’attenzione dei regolatori andrebbe rivolta soprattutto a settori che fino ad ora sono stati meno sotto osservazione. Il primo è quello delle assicurazioni che, secondo uno studio di aprile del Fondo Monetario Internazionale, pone un rischio crescente per la stabilità finanziaria globale. In un’era di tassi bassi, le polizze vita con rendimento minimo garantito, estremamente popolari in Europa, diventano sempre più onerose per le aziende, minacciando di incrinare la solidità dei bilanci.

 

Il secondo sono gli schemi pensionistici aziendali. Secondo uno studio di Dirk Schumacher, economista di Goldman Sachs, le più grosse aziende tedesche hanno un deficit pensionistico di circa 118 miliardi di euro. In uno scenario di tassi bassi prolungati, questi buchi previdenziali saranno difficili da colmare e potrebbero allargarsi in maniera marcata.

 

Una soluzione a questi problemi sta nella maggiore diversificazione degli investimenti verso prodotti meno sicuri come le infrastrutture. La domanda, però. è fino a che punto i regolatori siano disposti ad accettare un po’ più di rischio. La relazione complicata fra aziende finanziarie e policy makers, insomma, è destinata a continuare.

 

(La Repubblica)