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L'Unione europea archivia il Ttip: "Accordo irrealistico"

 

Francia e Austria avevano chiesto di sospendere i negoziati e farli ripartire sotto un altro nome con obiettivi diversi, ma sono rimaste isolate. La Slovacchia, presidente di turno, però, ha ammesso che l'intesa sotto l'amministrazione Obama è impossibile

 

di GIULIANO BALESTRERI

 

23 settembre 2016

 

MILANO - Il Ttip è morto, ma l'Unione europea cerca di salvare la forma dopo aver seppellito la sostanza. Al Consiglio dei ministri di Bratislava, Francia e Austria hanno avanzato la proposta di sospendere ufficialmente le trattative per poi rilanciare le prove d'intesa tra Usa e Ue con un altro nome e obiettivi diversi a partire dall'anno prossimo. Un'idea ragionevole dal momento che alle elezioni americane mancano meno di 50 giorni e sul tavolo dei negoziatori restano diversi punti - non irrilevanti - sui quali Washington e Bruxelles sono lontani anni luce.

 

Eppure, Parigi e Vienna si sono trovate isolate: gli altri ministri europei del commercio riuniti sotto la presidenza slovacca e capitanati da Carlo Calenda, primo sostenitori del libero scambio, hanno ribadito che il negoziato deve continuare salvo ammettere che "difficilmente" le discussioni si concluderanno positivamente entro la scadenza dell'amministrazione Obama negli Stati Uniti. A dare il colpo di grazia alle speranze dei sostenitori del Ttip è stato il presidente di turno dell'Unione, lo slovacco Peter Ziga, ministro dell'Economia, che ha definito "non realistico" l'obiettivo. A questo punto esultano gli oppositori di quello che potenzialmente sarebbe diventato il più grande accordo di libero commercio mondiale. Difficile, se non impossibile, che del Ttip si torni a parlare prima del 2020.

 

La ratifica. Un accordo come quello di libero scambio transatlantico, per entrare in vigore, prevede un iter lungo e complesso: raggiunta un'intesa su un testo consolidato - che come detto nel caso specifico è lontana -, serve l'approvazione del Parlamento europeo, del Consiglio dei ministri europei e dei 28 Parlamenti europei (formalmente la Gran Bretagna è ancora uno stato membro). Basta che uno solo dei soggetti in causa non ratifichi il testo perché il trattato naufraghi.

 

Le elezioni. La situazione è resa ancora più intricata dal via della stagione elettorale. Per diplomatici quella che in gergo si definisce la "finestra di opportunità" si sta rapidamente chiudendo: il mandato di Barack Obama alla Casa Bianca termina a gennaio e nessuno dei candidati in corsa, Hillary Clinton e Donald Trump, pare intenzionato a spendersi per il Ttip. Nel primo semestre dell'anno prossimo si vota in Francia: nonostante la popolarità al minimo Francois Hollande ha intenzione di ricandidarsi, ma proprio per questo si mostra duro con l'accordo che nel Paese è osteggiato a tutti i livelli. Sulla stessa lunghezza d'onda anche i nazionalisti di Marine Le Pen. Nel 2018, poi, si torna al voto anche in Italia e in Germania dove la grande coalizione tra i cristiano democratici di Angela Merkel e i socialisti di Sigmar Gabriel si sta spaccando proprio sul Ttip. L'anno dopo, invece, verranno rinnovati Parlamento e Commissione Ue. Insomma come ha più voltre ribadito Paolo De Castro, eurodeputato ed ex ministro delle Politiche agricole, "bisognera aspettare almeno fino al 2020" per arrivare una bozza d'intesa.

 

Negoziati. A sciogliere la matassa non ha certo contribuito lo stile negoziale molto diverso delle parti in gioco: se gli europei cercano di smussare gli angoli poco alla volta, gli americani tendono a dire "no" fino alla fine per mettere alle strette la controparte presentando poi una proposta "last minute". Una strategia che ha contribuito a costruire solo salite: dopo tre anni di negoziati, infatti, non si è ancora arrivati a un testo consolidato, le trattative sono ancora ferme allo scambio di offerte. E le proposte arrivate da una parte e dall'altra mostrano come le parti siano rimaste distanti anni luce sul tema dell'agricoltura con l'Europa che ha sbattuto la porta in faccia alle richieste americane di aprire il mercato alla sua carni con gli ormoni e ai prodotti geneticamente modificati e gli Usa che restano sordi sulla tutela dei nomi dei prodotti Doc.

 

Gli appalti pubblici. Sulla stessa lunghezza d'onda i negoziatori si lamentano della timida apertura americana sul fronte degli appalti pubblici: Washington non ha problemi a riconoscere il libero accesso alle gare, ma non ha intenzione di derogare alla legge "buy american". In sostanza chiunque può aggiudicarsi un appalto, ma il 50% dei prodotti utilizzati per i lavori deve essere americano. Come a dire che un'impresa europea per costruire un autostrada americana dovrebbe utilizzare solo cemento a stelle e strisce. Una condizione inaccettabile per Bruxelles perché discrimina i prodotti europei, non crea lavoro nel Vecchio continente e non alimenta il Pil. Utile, quindi, solo per le multinazionali, ma in contrasto con gli obiettivi dichiarati dal Ttip che punta a una crescita dell'economia - a regime - nell'ordine di 120 miliardi di euro con l'aumento dell'occupazione. L'Europa vorrebbe anche accesso al settore dei tasporti marittini e aerei, mentre gli Stati Uniti chiedono libero accesso nel campo della sanità e in quello dell'educazione: fronti sui quali nessuno dei negoziatori ha intenzione di cedere.

 

Arbitrati. La parti sono distanti anche sulla questione della tutela degli investimenti esteri: gli americani vorrebbero una corte arbitrale nominata di volta in volta a seconda delle dispute, l'Unione europea propone - sulla falsariga di quanto fatto con il Canada - un tribunale con un doppio grado di giudizio composo tra giudici e non professionisti interessati a compiare questa o quell'altra parte con lo scopo di essere richiamati per un nuovo arbitraro. Su questo punto, però, nessuno dei due attori è pronto a venire incontro all'altro.

 

Governance globale. Se l'accesso ai mercati, uno dei tre pilastri su cui si basa il Ttip insieme alla cooperazione regolamentare e le regole globali, divide profondamente Usa e Ue gli altri sono molto meno complessi. Stati Uniti e Europa hanno una visione comune della governance globale e hanno, soprattutto, l'interesse a scrivere un impianto di regole prima che a farlo sia una potenza emergente come la Cina. Da questo punto di vista ai tecnici dei trattati manca solo l'input politico sul come scrivere le regole: l'esempio più chiaro è quello che riguarda la tutela dei lavoratori. Washington è d'accordo con Bruxelles sui principi, ma non vuole che l'intesa passi per la ratifica delle convenzioni Ilo. "E' una questione di forma, più che di sostanza", spiega una fonte. Come a dire che per gli Stati Uniti gli accordi sottoscritti davanti all'Organizzazione internazionale del lavoro sono condivisibili nella sostanza, ma non nella loro forma. Serve quindi uno sforzo comune per trovare un'intesa sui termini.

 

La regolamentazione. Il secondo fronte è quello della regolamentazione e della definizione dello standard dei prodotti. L'intesa politica su questo fronte è praticamente totale. La volontà è di garantire il livello più alto su entrambe le sponde dell'Atlantico: in questo senso, quindi, la difficoltà è puramente tecnica. Insomma, una questione di pazienza: gli sherpa devono mettersi a tavolino per scrivere tutti i dettagli, dalla dimensione degli specchietti per le auto alle cinture di sicurezza. Una lavoro mastodontico, ma che non dovrebbe presentare incognite. E' sui temi economici che si gioca la partita più complicata e ancora tutta in salita.

 

(La Repubblica)