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Bahamas Leaks, la nuova inchiesta sui conti offshore che fa tremare i potenti

 

Dopo i Panama Papers, un altro ciclone sui soldi depositati nei paradisi fiscali. 175 mila società coinvolte nelle indagini giornalistiche coordinate dall'Icij, di cui l'Espresso è partner esclusivo per l'Italia. Nelle carte anche l'ex commissario alla concorrenza dell'Unione europea. E da domenica in edicola i nomi italiani

 

DI PAOLO BIONDANI, GLORIA RIVA E LEO SISTI

21 settembre 2016

 

Non si è ancora spenta l'eco dello scandalo Panama Papers – l'inchiesta giornalistica internazionale che ha svelato quarant'anni di affari offshore gestiti dallo studio Mossack Fonseca – che una seconda gigantesca fuga di notizie è pronta a far tremare, di nuovo, i palazzi della finanza mondiale. Si cambia paradiso: non più Panama, bensì le Bahamas. Ma il vizio è lo stesso: anche qui politici, imprenditori, banchieri, finanzieri, insieme a mafiosi, latitanti e trafficanti, hanno aperto conti correnti e società anonime per sfuggire al fisco e alla giustizia.

 

Ancora una volta sono stati i giornalisti d'inchiesta dell'Icij, International Consortium of Investigative Journalists, di cui fa parte l'Espresso in esclusiva per l'Italia, a bucare il muro di riservatezza di uno dei paradisi fiscali più impenetrabili del mondo, le Bahamas appunto. L'inchiesta, che per ampiezza è seconda solo ai Panama Papers, nasce da una fuga di notizie che ha portato alla luce un archivio di oltre 175 mila società inserite nel "Registrar General Department", l’imponente archivio di Nassau, capitale di questo paradiso esentasse. I documenti sono stati acquisiti dai reporter del giornale tedesco Suddeutsche Zeitung, che li hanno messi a disposizione del consorzio Icij, per condividerli con decine di media partner di tutto il mondo, tra cui l’Espresso. Nasce così #bahamasleaks.

 

Tra i nomi registrati nelle offshore delle Bahamas ci sono i potenti di tutto il mondo. Il più sorprendente è quello di Neelie Kroes , l'ex commissaria alla concorrenza dell'Unione Europea, in carica dal 2004 al 2010. Un nome che rischia di creare qualche problema e non pochi imbarazzi nelle istituzioni continentali. A Bruxelles l’avevano soprannominata "Steely Neelie", Neelie l’inflessibile, e tutti ricordano quando la signora della politica olandese intimava alle multinazionali: «Non potrete sottrarvi alle nostre regole fiscali». Ma adesso salta fuori che, mentre lanciava strali mirati, aveva interessi non dichiarati alle Bahamas. Dove ha rivestito la carica di "director", cioè ha amministrato, dal luglio 2000 all’ottobre 2009, una società offshore tuttora attiva. Lo dimostrano le carte rimaste finora nascoste nell’isola caraibica: la società si chiama Mint Holdings Ltd era stata creata nell’aprile di sedici anni fa da "Steely Neelie", oggi autorevole esponente di un partito di centrodestra dell'Olanda.

 

L'ex commissario Ue alla concorrenza è uno dei nomi noti del nuovo scandalo sui fondi nei paradisi fiscali svelato dall'Icij e dall'Espresso. E crea un grosso imbarazzo all'Unione Europea

Tra gli altri potenti della politica con le offshore alle Bahamas spiccano lo sceicco del Qatar Al Thani, il ministro colombiano Carlos Caballero Argaez, il figlio dell'ex dittatore cileno Pinochet . E poi ci sono i familiari di un ex premier della Nigeria, il ricchissimo uomo d'affari giordano Amin Badr El-Din e tanti altri.

 

Questo primo articolo è solo un inizio, un assaggio. Perché a partire da oggi un centinaio di giornalisti di tutto il mondo, dopo aver scavato per mesi tra un milione e 300 mila documenti (in tutto 38 gigabytes), stanno cominciando a pubblicare solo i primi risultati di un'inchiesta internazionale che continua. L'archivio offshore delle Bahamas riguarda oltre 175 mila società registrate dal 1990 ai primi mesi del 2016. Nelle prossime ore ogni testata associata al consorzio pubblicherà, per il propri paese, i nomi di politici, banchieri, finanzieri, uomini di Stato, criminali ed evasori fiscali con i soldi alle Bahamas. I nuovi file portano alla luce decine di società, finora ignote o semisconosciute, collegate a politici in carica o ad ex governanti delle Americhe, dell'Africa, dell'Europa, dell'Asia e del Medio Oriente.

 

Ovviamente nel database di Bahamas Leaks c'è anche l'Italia. L’Espresso ha scoperto 417 file di documenti con la targa Italy. Nel numero in edicola da domenica prossima, l’Espresso diffonderà parecchi nomi. C’è di tutto: industriali, banchieri d’affari, nobili, big della finanza, un gran nugolo di avvocato e commercialisti. Volti celebri e persone semi-sconosciute. Personaggi in vista nelle grandi città, dalla Lombardia alla Sicilia, ma anche nella provincia più profonda: particolarmnente nutrita è la rappresentanza del Nordest.

 

I file delle Bahamas ottenuti dal consorzio Icij non riguardano solo società offshore. Chi è più addentro nei meccanismi dei paradisi fiscali, spesso decide di affidare le proprie fortune a entità ancora meno trasparenti: trust e fondazione. Chiaro lo scopo: erigere un’altra barriera, e sperare che non arrivino a varcarla magistrati e investigatori. Ma con i Bahamas Leaks ora il muro del segreto è caduto.

 

Marco Antonio Pinochet aveva una società usata per dirottare oltre un milione di dollari al padre. E non è il solo figlio di dittattori a comparire nei nuovi documenti sugli scandali dei paradisi fiscali

Aprire una società offshore di per sé non è reato. Però bisogna dichiararlo al fisco italiano. E distinguere tra chi è azionista o comunque beneficario economico e chi invece è "director", in sostanza amministratore. Difficile però trincerarsi dietro il ruolo tecnico di semplice gestore. Per far scattare l'obbligo della dichiarazione fiscale basta ricevere un qualsiasi compenso dall'estero. E la nostra Agenzia delle Entrate faticherà a credere che un professionista italiano possa lavorare alle Bahamas gratuitamente.

 

Tra i primi nomi diffusi dal consorzio giornalistico con base a Washington, spunta un politico che è un fedelissimo delle spiagge caraibiche: Carlos Caballero Argaez, già ministro dell’energia della Colombia dal 1999 al 2001. Nei file del "registrar" compare come presidente e segretario della Pavc Properties Inc., nonché direttore della Norway Inc.: la prima risulta proprietaria di un appartamento a Miami; la seconda è titolare di un conto bancario a Miami, intestato al padre e spartito tra i figli dopo la sua morte. «Nego che ci sia un conflitto di interessi», si è difeso Caballero, spiegando candidamente, che sì, la sua scelta era stata determinata da «motivi fiscali».

 

Già nei gigabytes di Panama Papers si sentiva un forte odore di Bahamas addosso ad almeno tre politici e funzionari pubblici di rango elevato, come si legge nel nuovo rapporto di Icij: «Tra i primi spicca lo sceicco Hamad bin Jassem bin Jaber Al Thani, già premier e ministro degli Esteri del Qatar fino al 2013. Sua la Trick One Limited, comparsa quando nel gennaio 2005, da ministro degli Esteri, Al Thani firma un prestito con una banca per 53 milioni di dollari, dando in garanzia Al-Marqab, uno stupendo yacht, lungo 130 metri, del valore di 300 milioni di dollari».

 

Anche in altri casi i nuovi documenti delle Bahamas allargano il quadro abbozzato dai Panama Papers. Scrive il consorzio: «Il presidente dell’Argentina Mauricio Macri, suo padre Francisco e il fratello Mariano, erano tutti legati alla Fleg Trading Ltd, sbocciata al sole dei Caraibi nel 1998 e cancellata 11 anni dopo. Ma nella dichiarazione dei redditi di Mauricio del 2007 e 2008, quando era sindaco di Buenos Aires, non ce n’è traccia. Secondo il suo portavoce, non era necessario: il presidente a suo dire non aveva interessi finanziari né azioni nella Fleg».

 

E ancora: «Si chiama Blairmore Holding invece il fondo d’investimenti di Ian Cameron, padre dell’ex primo ministro inglese David Cameron. Il quale è stato costretto ad ammettere di avere ricevuto benefici da quella società che, costituita a Panama, ma amministrata dalle Bahamas, gestiva decine di milioni di sterline per conto di ricche famiglie inglesi».

 

Un esperto come Nicholas Shaxson, autore di "Treasure Islands: Tax Havens and the men who stole the world", non ha dubbi: «Le Bahamas sono assetate di denaro sporco. Come Panama». Un’affermazione che il governo di Nassau respinge con fermezza, rispondendo a una richiesta di commento pervenuto da Icij con queste parole: «Il paese onora le sue obbligazioni internazionali e collabora con le autorità».

 

Di diverso avviso l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che dopo aver inserito le Bahamas nella "black list", cioè nella lista dei paradisi fiscali e societari, le ha passate nella cosiddetta "grey list", che, scrivono i giornalisti di Icij, pur sempre contraddistingue chi non è in regola con gli standard internazionali.

 

Ancora più pesante l’Unione Europea, che inserisce questo stato caraibico, insieme ad altri 30 paesi, nell'elenco delle nazioni totalmente non cooperative. C’è da crederlo, perché non c’è obbligo, per le banche, di conoscere la vera identità di chi si cela dietro quote azionarie di una società o dietro un trust delle Bahamas. Tutte informazioni top secret, chiuse negli edifici che accolgono 250 trust e banche autorizzate a operare nell’isola.

 

Una vera manna, che produce ricchezza per gli agenti accreditati, esattamente 539. A guidare questo elenco è lo studio legale Mossack Fonseca, già al centro dei Panama Papers, che ha registrato alle Bahamas ben 14.900 società offshore. Seguono la banca svizzera Ubs, tramite la Ubs Tustees Limited, che ha accreditato 9.717 offshore, e il Credit Suisse, con il Credit Suisse Trust Limited, che ne ha aperte 8.299.

 

(L'Espresso)