News

Crescono nell'Unione europea i rapporti fiscali segreti con le multinazionali

Belgio e Lussemburgo in cima alla classifica, ma anche l'Italia non ne esce bene

di BARBARA ARDU'

08 dicembre 2016

ROMA - Nonostante la Commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager ce la stia mettendo tutta per combattere gli accordi fiscali segreti tra le multinazionali e i singoli Paesi, le cose non sono migliorate. Anzi sono peggiorate e di molto. Non è bastata la multa alla Apple di agosto commiata dall'Antitrust Ue, né lo scandalo LuxLeaks, scoppiato nel 2014. Gli accordi fiscali segreti (tax-ruling), firmati dai Paesi dell'Unione con compagnie multinazionali sono in vertiginoso aumento. Se nel 2013 ne erano stati siglati 547, nel 2014 il numero è quasi raddippiato a 975, fino a raggiungere la soglia di 1.444 in vigore alla fine del 2015. Una crescita complessiva di oltre il 160% in soli due anni (2013-2015) e un aumento di quasi il 50% dal 2014 al 2015, secondo i dati forniti dalla Commissione Ue. Che tipo di accordi siano nessuno lo sa, sono segreti. Di certo sottraggono alle casse degli Stati coinvolti miliardi di euro e consentono alle multinazionali un trattamento fiscale di favore, che ha due effetti immediati: offre un vantaggio competitivo alle multinazionali rispetto alle piccole e medie imprese nazionalie e ne gonfia gli utili.

All'indice nella Ue ci sono Belgio e Lussemburgo, in cima alle classifiche con il più elevato numero di tax ruling a fine 2015. Ma anche l'Italia non è messa male: secondo il modello contabilizzato in sede Ue le grandi corporation a fine 2015 ne avevano in essere 68. E' quanto emerge dal rapporto Survival of the Richest - readtto da Oxfam e Re:Common, una delle grandi organizzazioni internazionali, che si batte per un mondo dove ci sia più giustizia fiscale e sociale.

"Il rapporto - spiega Elisa Bacciotti, Direttrice delle Campagne Oxfam in Italia - presenta un'Europa ancora in chiaro-scuro sotto il profilo di alcune misure di giustizia fiscale che Oxfam ritiene imprescindibili per contrastare con efficacia gli abusi fiscali di corporation e individui facoltosi, arginare la corsa al ribasso in materia fiscale fra i Paesi, garantendo un fairplay fiscale nella Comunità europea, avendo cura anche degli impatti sui Paesi più poveri...L'Italia può e deve giocare un ruolo propulsivo e progressista in fase di negoziato nei processi di riforma fiscale continentale e nel recepimento più ambizioso di direttive già approvate, dando prova di un Paese attento alle questioni di giustizia fiscale".

Nel Rapporto emergono alcune indicazioni interessanti. E' in continua crescita, nonostante le tante denuce, il sostegno a misure di trasparenza sui beneficiari effettivi di società, fondazioni e trust. Per la prima volta infatti il gruppo dei Paesi favorevoli all'introduzione di registri pubblici centralizzati dei titolari effettivi è maggioritario rispetto ai Paesi contrari. Sono favorevoli alla nascita di tali registri Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia, ne hanno già avviato l'introduzione Regno Unito, Francia, Danimarca e Slovenia. E anche in Germania e nella Repubblica Ceca il sentiment sta mutando spostandosi verso una maggiore trasparenza.

Un Rapporto da cui l'Italia non ne esce proprio bene. "Da una parte - è scritto nel documento - c'è la posizione dell'esecutivo italiano poco progressista sulle misure più ambiziose in materia di trasparenza fiscale. Tant'è che ancora oggi non è chiara la posizione del governo su una autentica rendicontazione pubblica paese per paese, così come preoccupa la propensione - resa esplicita da una consultazione pubblica lanciata pochi giorni fa dal Dipartimento del Tesoro - a non garantire al vasto pubblico l'accesso incondizionato ai registri dei titolari effettivi di società e fondazioni, concedendolo esclusivamente a una ristretta platea di "portatori di legittimo interesse".

C'è poi un secondo fronte, quello dell'impatto sui paesi in via di sviluppo dei tax ruling. I governi europei, denuncia Ofxam, continuano a siglare controversi trattati fiscali che ledono i sistemi di tassazione dei Paesi in via di sviluppo. In totale gli accordi siglati dai Paesi UE presi in esame nel rapporto sono 752, accordi che contribuiscono ad abbassare l'aliquota fiscale di circa 3,8 punti percentuali. Non solo. Oltre la metà metà dei governi europei analizzati nel rapporto mantengono un orientamento politico contrario all'idea di permettere ai Paesi in via di sviluppo di partecipare a pieno titolo al processo di riforma della fiscalità internazionale. Non c'è un solo Governo del Vecchio continente che supporti in maniera attiva la proposta dei Paesi poveri di creare un nuovo organismo intergovernativo in materia fiscale sotto l'egida delle Nazioni Unite. Organismo che permetterebbe ai Paesi in via di sviluppo di avere pari voce nella definizione di nuove regole e standard fiscali globali. E anche qui l'Italia non fa una bella figura. Pesano i caratteri "estremamente

restrittivo" di alcuni trattati fiscali che l'Italia ha in vigore con i Paesi in via di sviluppo come la Repubblica Democratica del Congo. Completa il quadro la mancanza di supporto dell'Italia all'organismo intergovernativo in materia fiscale sotto gli auspici delle Nazioni Unite.



(La Repubblica)