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Chi difende il minore da mamma e papà che litigano in Tribunale?

Non è prevista la difesa tecnica del minore, ma la giurisprudenza ha da tempo ricordato l’assoluta necessità di avvalersi, nei procedimenti che coinvolgono i minori, di professionisti “in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere”

di ANDREA GAZZOTTI*

25 Aprile 2018

MILANO - “I miei genitori si stanno separando: non comunicano più fra loro. I miei genitori discutono e litigano sempre. Alzano la voce. Mi spaventano. I miei genitori non danno risposta a questioni per me importanti. Non mi ascoltano…”. Chi difende tutti quei bambini e ragazzi, collocati nel bel mezzo del duello giudiziale tra mamma e papà? Chi li difende nei processi di separazione e “divorzio”, soprattutto quando i genitori non pensano ad altro che a litigare tra loro?

Da un punto di vista generale, non è prevista la difesa tecnica del minore in simili processi: tutto è lasciato alle determinazioni delle parti, ai difensori che le assistono e alle decisioni dei Tribunali. Tuttavia, se da un lato la legge non prescrive particolari qualità professionali per la rappresentanza dei diritti e interessi di un minore, dall’altro lato la giurisprudenza ha da tempo ricordato l’assoluta necessità di avvalersi, nei procedimenti che coinvolgono i minori, di professionisti “in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere” (Sentenza Corte Costituzionale n. 178 del 22 giugno 2004).

L’Avvocato che esercita la propria professione nell’ambito del diritto di famiglia - forse il ramo più sensibile dell’universo giuridico – in particolar modo quando sono coinvolti minorenni, deve necessariamente assolvere le proprie funzioni con lealtà, dedizione e correttezza (in linea anche con le previsioni del Codice Deontologico Forense), ma soprattutto è necessario che sia in possesso di analitiche competenze giuridiche e di una sensibilità – anche personale – di totale adeguatezza.

In queste procedure, infatti, l’avvocato non deve solo costituire un canale di collegamento tra i genitori in conflitto tra loro e il giudice, ma deve essere consapevole di rivestire un ulteriore ruolo fondamentale; un punto di riferimento non solo dei genitori nella crisi familiare, ma il “portatore sano” dei diritti e degli interessi dei figli minori della (non più) coppia, forzatamente coinvolti nel conflitto giudiziale.

Si tratta di una responsabilità professionale che nell’ambito del diritto di famiglia, più che in altri settori, assume connotazioni incisive e delicatissime, in quanto influisce sugli equilibri emotivi dei minori coinvolti nelle crisi coniugali. Nella pronuncia della Corte Costituzionale prima e nelle successive sentenze della Corte di Cassazione poi (ad es.: Cass. Civ., Sez. Unite, Sent. n. 11564 del 26.05.2011), emerge chiaramente come un compito essenziale dell’avvocato in questi particolari processi, che stravolgono il più delle volte la vita e la quotidianità delle famiglie, sia quello di responsabilizzare i coniugi, di sollecitarli a rispettare il dovere di leale cooperazione e collaborazione, almeno in ordine ai diritti e alle esigenze personali dei figli.

Solo un professionista specificamente preparato e capace di comprendere il valore e il significato del proprio operare, sarà in grado di restituire ai coniugi la necessità e la responsabilità di conformarsi al principio di responsabilità genitoriale a tutela dei figli (che rappresenta uno dei criteri informatori del diritto di famiglia e minorile).

L’avvocato che vuole davvero esercitare la propria professione nei procedimenti in materia di famiglia, dovrà allora impadronirsi di tutti gli strumenti di comunicazione professionale e tecnica necessari per tutelare al meglio anche i bisogni e le aspirazioni dei minori coinvolti, senza sottovalutare le implicazioni anche “personali” che questo comporta.



*Avvocato Studio Legale Bernardini de Pace

(La Repubblica)