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Bce, stop al Qe da gennaio. La paura dell'Italia per i titoli di Stato

 

Gli acquisti netti verranno dimezzati a 15 miliardi al mese, da settembre a dicembre. Poi la fine del programma. Ma i tassi bassi proseguiranno fino a tutta l'estate 2019. Draghi sull'Italia: "L'euro è irreversibile e non giova a nessuno metterlo in discussione". Dovremo "piazzare" circa 40 miliardi di titoli in più ai privati. La diretta Twitter della nostra corrispondente Tonia Mastrobuoni

 

 

 

14 Giugno 2018

 

 

 

MILANO - Il programma di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, il cosiddetto Quantitative Easing (glossario), terminerà a partire dal prossimo gennaio. L'ombrello che ha garantito il mantenimento di tassi bassi sui titoli di Stato, con conseguente beneficio per le casse pubbliche che hanno risparmiato miliardi di spese per interessi, si avvia dunque alla chiusura e l'Italia dovrà via via fare maggiormente i conti con il mercato per vendere il suo debito.

 

 

 

Fino alla fine di maggio, la Bce ha acquistato - tramite le Banche centrali nazionali - quasi 345 miliardi di titoli italiani. Oggi al sistema delle Banche centrali è intestato il 16% circa del nostro debito. E gli effetti di quest'opera si sono visti: se l'Italia nel 2014 (prima che gli acquisti iniziassero) pagava il 4,6% del Pil in interessi sul debito, quest'anno - stima il Def - si fermerà al 3,5%.

 

 

 

Il consiglio direttivo della Banca centrale, che oggi si è riunito 'in trasfertà a Riga, ha deciso di ridurre gli acquisti di titoli fatti attraverso il Qe da 30 a 15 miliardi al mese da ottobre a dicembre, per poi portarli a zero da gennaio in poi. Allo stesso tempo la Bce continuerà a reinvestire il capitale dei bond acquistati che giungono a scadenza "a lungo dopo la fine degli acquisti netti, e in ogni caso per tutto il tempo necessario per mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario". Significa che non sparirà dal mercato: reinvestirà i soldi che le verranno restituiti dagli Stati alla scadenza delle obbligazioni comprate, per sottoscrivere altre obbligazioni. Nei fatti, però, il rallentamento del Qe significa - come ha recentemente stimato l'Ufficio parlamentare di bilancio - che il mercato dovrà assorbire quote maggiori di titoli italiani. Secondo l'Autorità dei conti pubblici, mentre nel 2016 la Bce ha acquistato sul mercato secondario il 45% delle nuove emissioni a medio e lungo termine, scenderà al 24% nel 2018 e quindi al 9,5% nel 2019. Vuol cire che l'Italia dovrà rifinanziare il suo debito a medio e lungo termine facendo leva sui privati: dovranno sottoscrivere 201 miliardi nel 2019, dai 165 del 2017.

 

 

 

 

 

Dal 2015 il rifinanziamento del debito è stato facilitato dagli acquisti di titoli da parte della Bce sul mercato secondario. Secondo l'Upb, con la chiusura progressiva del Qe il mercato dovrà assorbire quote maggiori di titoli.

 

 

 

LE REAZIONI DEI MERCATI

 

 

 

La decisione, ha spiegato il governatore Mario Draghi nella consueta conferenza stampa, è arrivata dopo "un'attenta valutazione dei progressi fatti" la cui conclusione è che l'aggiustamento dell'inflazione verso l'obiettivo è "sostanziale". Gli analisti avevano messo in conto che sarebbe potuta arrivare questa mossa, anche se per qualcuno era più probabile si scoprissero le carte a luglio. In ogni caso, la Bce dimostra di tirare dritto per la sua strada, indipendentemente dalle vicissitudini che hanno riguardato l'Italia e nelle ultime settimane sono tornate a scaldare lo spread. "Dall'Italia non c'è stato nessun contagio, o è rimasto molto limitato e locale", ha detto sul punto Draghi ribadendo che l'euro è indissolubile, forte e voluto dalla gente: "Non fa bene a nessuno metterne in dubbio l'esistenza". Ha dunque invitato a "non drammatizzare troppo i cambiamenti politici".

 

 

 

Le stime degli economisti dell'Eurotower giocavano per la mossa Bce: l'inflazione è ora vista all'1,7% nel 2018, nel 2019 e nel 2020, contro il precedente +1,4% nel 2028 e 2019 e +1,7% nel 2010 (l'obiettivo è "vicino al 2%). Conta più questo, agli occhi dei banchieri, che la riduzione al 2,1% (dal 2,4%) per il 2018 della stima sulla crescita dell'Eurozona, mentre rimane l'1,9% atteso per il 2019 e l'1,7% per il 2020. Le incertezze per l'economia dell'Eurozona sono aumentate "senza dubbio", ha sintetizzato Draghi, e in alcuni paesi la fase di debolezza mostrata dagli ultimi dati "potrebbe protrarsi nel secondo trimestre". Tuttavia "la forza sottostante dell'economia" non appare minacciata.

 

 

 

Il presidente ha rassicurato sul fatto che i reinvestimenti dei bond in scadenza acquistati con il Qe "continueranno a lungo", dando così ancora liquidità al mercato. La Bce è poi "pronta a rivedere i propri strumenti di politica monetaria" se fosse necessario per assicurare il necessario livello di stimolo monetario. Per una ripresa sostenuta dell'inflazione, ha spiegato il governatore, serve ancora "un significativo stimolo monetario" e la decisione presa oggi sulla riduzione del Qe mantiene "un ampio grado" di accomodamento nella politica monetaria. Ha rimarcato che le decisioni odierne sono state prese all'unanimità, sottolineando dunque che c'è la volontà di mantenere flessibilità nella chiusura degli stimoli. Il Qe, dunque, "non scompare ma resta una strumento che la Bce può usare in caso di necessità".

 

 

 

Come ampiamente previsto invece Francoforte ha lasciato i tassi d'interesse invariati: il tasso principale resta fermo allo 0%, quello sui prestiti marginali allo 0,25% e quello sui depositi a -0,40%. La decisione è in linea con le attese del mercato. La Bce ha però fatto una importante precisazione ulteriore, sottolineando che "continua ad aspettarsi che i tassi chiave resteranno agli attuali livelli almeno lungo tutta l'estate 2019 e in ogni caso tutto il tempo necessario per assicurare che lo sviluppo dell'inflazione resti allineato con le attuali aspettative di un sostanziale percorso di aggiustamento".

 

 

 

Proprio quest'ultima è - secondo la prima reazione a caldo degli analisti di Abn Amro - l'annotazione più significativa. "Le indicazioni sui tassi suggeriscono che la Bce li manterrà fermi almeno fino a settembre 2019, in linea con il nostro scenario di base", dicono dalla banca. "Ma, viste le incertezze sulle prospettive economiche e le scarse pressioni sull'inflazione, i rischi sono sbilanciati verso la possibilità che la Bce aspetti ancora più a lungo. Per i mercati finanziari, la guidance sui tassi è molto più importante della decisione sul tapering, che era già scontata". Non a caso, sottolineano, l'euro si è indebolito dopo l'annuncio. Secondo Carsten Brzeski di Ing, citato dal Ft, la decisione odierna è "un compromesso salomonoico tra i falchi e le colombe" ai primi è stata assicurata una data di fine del Qe, ma le seconde hanno ancora la consapevolezza che le porte sono aperte a fare qualcosa in più, se i dati lo renderanno necessario.

 

 

 

(La Repubblica)