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Derivati del Tesoro, "difetto di giurisdizione": la Corte dei Conti chiude il caso

La ex responsabile del debito pubblico, Cannata, era imputata con La Via e gli ex ministri Siniscalco e Grilli. Coinvolta la banca Morgan Stanley. In tutto si chiedeva un danno erariale di oltre 3 miliardi

 

15 Giugno 2018

 

MILANO - I contratti derivati stipulati dal Tesoro erano legittimi; forse le scelte amministrative potevano essere migliori, ma non sono sindacabili ai sensi della legge. E' questa la motivazione per la quale la Corte dei Conti ha chiuso il caso nei confronti di tutti gli ex ministri e alti dirigenti del Tesoro, insieme alla banca Morgan Stanley, nella famosa vicenda dei derivati di Stato che sono costati oltre 3 miliardi di euro alle casse pubbliche. Sulla base di queste motivazioni, infatti, la Corte ha respinto l'azione per un "difetto di giurisdizione".

 

L'ultimo atto della vicenda presso la magistratura contabile era andato in scena un paio di mesi fa, quando il procuratore Massimiliano Minerva si era lanciato in una requisitoria fiume accusando il Tesoro di esser stato "inerte" di fronte alla volontà di Morgan Stanley, sottovalutando i rischi legati ai contratti sottoscritti con la banca, ignorandone i dettagli e mettendosi dunque in una posizione di subalternità. Per altro, nei confronti di un istituto che ha il duplice ruolo di "specialist" del Tesoro, ovvero ne cura il buon funzionamento delle aste, e controparte sui derivati.

 

I magistrati contabili si erano rivolti contro l'istituto americano e contro gli ex ministri, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, e dirigenti del Tesoro, Maria Cannata, ex responsabile del debito pubblico, e Vincenzo La Via, attuale direttore generale, imputati per un danno erariale da 3,9 miliardi di euro. La contestazione del procuratore riguardava la "negligenza" e l'"imperizia" del Mef nell'inserimento nel contratto con la banca di una specifica clausola di uscita anticipata dai derivati, l'Ate, e del pagamento a Morgan Stanley, che ne rivendicava l'attuazione, di 3,1 miliardi di euro, proprio nel momento di maggiore difficoltà economica del Paese, a fine 2011.

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Luca Piana

 

Evidentemente alla fine è passata la linea degli avvocati del Mef, secondo la quale l'aver trattato a lungo e in modo paritario in base a contratti e clausole legittime e utilizzate di prassi a livello internazionale è stata una scelta vincente. Andare al muro contro muro con Morgan Stanley "avrebbe provocato la devastazione del mercato finanziario, l'immediata e istantanea perdita di fiducia degli operatori finanziari nella Repubblica italiana, l'esodo degli operatori del debito pubblico e il crollo dell'economia, con effetti irreversibili e devastanti", ha spiegato Antonio Palmieri, uno dei difensori di Maria Cannata. Del resto, hanno ribadito le parti sotto accusa, l'Ate così come il tipo di derivato sottoscritto con l'opzione 'swaption', erano stati previsti esplicitamente da un decreto dell'allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, prima e da una circolare di Mario Draghi, direttore generale di Via XX Settembre, dopo. "Siamo lieti di questa sentenza, della quale non siamo per nulla sorpresi, perché ha confermato le capacità e l’integrità di un funzionario pubblico, Maria Cannata, a cui la Repubblica Italiana deve essere grata per il lavoro svolto con abnegazione anche in anni estremamente difficili”, ha dichiarato Giuseppe Iannaccone, uno dei difensori della storica responsabile del debito pubblico nazionale, che di recente è andata in pensione.

 

(La Repubblica)