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Troppi sprechi, evasione e inefficienza. Trasporto locale, tassa da 6 miliardi

Non c'è solo il disastro romano dell'Atac: con qualche eccezione, il settore ha numeri da incubo

 

di EUGENIO OCCORSIO

 

13 Agosto 2018

 

Più di sei miliardi di euro l'anno. Tanto costano all'erario i sussidi al trasporto pubblico locale. E il servizio è in diversi casi, a Roma ma non solo, inefficiente. "Una situazione anomala che ci allontana dal resto d'Europa", attacca Carlo Cottarelli, che da direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani ha dedicato un dettagliato rapporto al problema. Bisogna aumentare il contributo delle risorse proprie, essenzialmente la vendita dei biglietti, nonché l'efficienza della gestione. "Tali risorse - si legge nel report - non coprono complessivamente che il 37% dei bilanci".

 

"Il resto, ovvero il 63%, è coperto da trasferimenti pubblici. Significa 3,5 miliardi di entrate proprie e 6,3 dalla fiscalità generale". I sussidi al trasporto pubblico, puntualizza subito il rapporto, sono in linea di principio appropriati perché finalizzati alla riduzione del traffico privato nei centri urbani. Solo che in Italia si è superato ogni ragionevole limite, e per di più l'obiettivo di limitare il ricorso all'auto propria spesso è fallito. "Il problema finanziario - chiarisce lo stesso Cottarelli - ha diverse cause: le tariffe sono mediamente troppo basse, l'evasione nel pagamento dei biglietti specie in alcune regioni ha raggiunto livelli intollerabili, i costi di esercizio sono più alti che all'estero per una serie di inefficienze".

 

Il confronto, anche internazionale, è evidentemente differenziato a seconda dei casi. A Roma i ricavi non coprono più del 26% dei costi rispetto al 65% di Parigi, al 55% di Londra e al 48% di Londra. Anche all'interno del nostro Paese le differenze sono marcate, per ogni tipo di trasporto: il costo unitario di produzione dei servizi di metropolitana, per esempio, è del 38% più alto a Roma rispetto a Milano e del 54% rispetto a Torino.

 

I costi del servizio

Per i servizi di superficie, a Milano il costo unitario di fornitura del servizio è del 27% inferiore a quello di Roma. Mortificante è poi il confronto europeo sul valore dei ricavi per passeggero: 1,2 euro a Londra contro gli 0,26 di Roma e gli 0,76 di Milano. Se paradossalmente (non esistono ovviamente dati certi su questo "sommerso") si calcolasse il costo dell'evasione rapportato al numero dei passeggeri i valori in molte città d'Italia scenderebbero ancora. Infine, il dato sull'età media dei veicoli, dal quale la capitale italiana esce ancora una volta a pezzi: 8,75 anni, quasi tre anni in più della media delle capitali europee. E la produttività del personale è inferiore per il 64% alle altre metropoli continentali.

 

Ma non è un problema solo di Roma: in alcune regioni come il Molise, la Basilicata e la Calabria la copertura dei costi non supera il 20%. "Nessuno si nasconde l'importanza di sovvenzionare trasporti rurali in aree vaste e scarsamente popolate - insiste Piergiorgio Carapella che ha guidato il team sotto la direzione di Cottarelli che ha preparato il report - solo che non è stato ancora affrontato con sufficiente decisione il problema dell'efficienza e della razionalizzazione di questi trasporti, con il risultato di un trasferimento da parte dello Stato del tutto abnorme". Non solo sul lato dei costi, della produttività e dell'efficienza si dovrebbe agire, suggerisce il rapporto.

 

Il caso delle tariffe

C'è anche un problema di tariffe troppo basse. Se un biglietto per una corsa singola costa a Roma e Milano un euro e mezzo, a Berlino il prezzo supera i 2,5 euro, a Londra è Copenaghen la media (le tariffe sono differenziate a seconda della percorrenza) è di 2,3 euro, a Parigi di 1,8. Gli abbonamenti poi costano a Londra (qui il rapporto cita dati Eurobarometro) fino all'equivalente di 127 euro, a Madrid 59, nelle due principali città italiane si fermano a 35 euro. "Per gli abbonamenti si potrebbe studiare un metodo differenziato a seconda del reddito", propone Cottarelli.

Si potrebbe insomma far pagare di più a chi ha più risorse, e magari non deve usare necessariamente il trasporto pubblico per raggiungere il luogo di lavoro. Un'ipotesi è di agire sulla detraibilità dalle imposte, introdotta dalla legge di bilancio 2018 nella misura di 250 euro (massimi) l'anno: l'onere è detraibile al 19%, il che in pratica significa un risparmio di circa 50 euro l'anno. Un beneficio uguale per tutti indipendentemente dal livello di reddito, "invece si potrebbe studiare un sistema di detrazioni maggiori per i meno abbienti, e questo potrebbe essere l'inizio di un cammino virtuoso verso la riduzione delle spese pubbliche in questo settore, tanto per cominciare renderebbe più plausibile una vera lotta all'evasione", spiega Cottarelli. Quelli che un tempo si chiamavano "portoghesi" in pratica sarebbero ulteriormente scoraggiati dall'"astenersi" dal pagare il biglietto, una volta che questo costi meno (per loro).

 

Normativa anacronistica

All'origine di tutto, si legge nel rapporto, c'è una legge del 1997, il Dlgs 422, che sanciva un rapporto fra ricavi da traffico e costi operativi del 35%. Ancora meno di quello che è nei fatti, solo che il livello è del tutto anacronistico vista la nuova attenzione in tema di finanze pubbliche. I calcoli regione per regione che il rapporto contiene riservano qualche sorpresa. Il grado massimo di copertura con mezzi propri delle spese appartiene al Veneto con il 51%. Segue la Sicilia con il 46%: una virtuosità raggiunta, spiega il report, grazie all'efficienza di una compagnia privata, la Sais Trasporti, fondata ad Enna addirittura nel 1926, che ha conseguito una sufficiente economicità lavorando nel settore extraurbano.

 

"Il modello - si legge nel report - è basato su un ridotto numero di dipendenti non addetti alla guida, cioè non direttamente produttivi, su una struttura di servizi flessibile e molto legata al territorio in cui gli addetti hanno un rapporto diretto con gli utenti garantendo così da un lato le corse, le frequenze e le fermate più a loro necessarie, dall'altro un buon riempimento dei mezzi". Una performance, stando al rapporto, addirittura migliore di quella della Lombardia dove il rapporto ricavi/costi è del 43%. Altrove si scende sotto la media: Toscana, Marche, Lazio (con punte al ribasso molto peggiori a Roma come abbiamo visto) e Piemonte, si attestano su un livello intorno al 36%. Quattro regioni hanno un rapporto fra il 25 e il 30% (Puglia, Friuli-Venezia Giulia, Campania e Umbria), quattro fra il 20 e il 25% (Calabria, Valle d'Aosta, Sardegna e Abruzzo) e poi si scende ai livelli intollerabili di cui si parlava.

 

L'aggiornamento dei dati

Va detto, e il rapporto lo riconosce apertamente, che i dati su cui si è costretti a lavorare sono piuttosto vecchi. A parte le valutazioni sugli ultimi provvedimenti legislativi, le statistiche che il rapporto usa sono del 2015 se non del 2014: "Purtroppo - scrive il rapporto - non esistono dati più aggiornati, infatti l'ultima relazione disponibile dell'Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico locale, organo afferente al ministero dei Trasporti, risale al 2015 su dati dell'anno precedente. Peraltro, negli obiettivi dichiarati dell'Osservatorio si legge che si riunisce almeno due volte l'anno e relaziona annualmente alla Camere sullo stato del trasporto pubblico locale. Auspichiamo quindi che vi siano presto aggiornamenti del rapporto".

 

Per ora, afferma il report, "la situazione verosimilmente non è migliorata". Anzi, in alcuni casi come Roma, è sicuramente peggiorata. Ci sarebbero però le premesse per un miglioramento: il governo di centrosinistra precedente aveva messo insieme una vera e propria struttura di missione, sempre presso il ministro del Trasporti, che aveva gettato le premesse per una piccola rivoluzione nella struttura dei costi: criteri standard per le concessioni, per esempio (deliberati nel febbraio 2018), e gare centralizzate Consip per gli acquisti. Tutto questo ha appena avuto il tempo di dispiegare i primi timidissimi benefici: la piena attuazione di questa nuova impalcatura normativa e finanziaria spetterebbe all'attuale governo. Sempre che esista la volontà politica.

 

(La Repubblica)