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Politica e clima, serve il cambio di passo: l'idea del protezionismo ambientale

Trump fa la voce grossa sul commercio? L'Europa deve rispondere sul piano dell'agenda per limitare le emissioni. Un'idea arriva dal signore del carbone, Adiya Mittal, nuovo padrone dell'Ilva: mettere 'dazi verdi' alle frontiere per l'importazione dell'acciaio nell'Ue

di MAURIZIO RICCI

15 Dicembre 2018

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Donald Trump fa la voce grossa, agitando il bastone delle tariffe doganali e alzando la bandiera del protezionismo? Forse è questo il linguaggio del XXI secolo. E, allora, l'Europa potrebbe rispondere, ripagandolo con la stessa moneta: tariffe e protezionismo. Solo che le tariffe europee sarebbero sulla Co2 e il protezionismo sarebbe ambientale. Un modo brusco, per non dire brutale, di rimettere al centro del dibattito geopolitico il riscaldamento globale e le sue conseguenze mondiali.

Lo spettacolo messo a scena a Katowice, in Polonia, nelle ultime due settimane, chiarisce che il tempo per fermare l'effetto serra è sempre di meno. Riuniti sotto l'egida dell'Onu, quasi tutti i paesi del mondo erano chiamati a mettere nero su bianco i dettagli dei meccanismi di controllo delle emissioni di anidride carbonica, che erano stati abbozzati, tre anni fa, alla Conferenza di Parigi. Ma quel consenso è ormai svanito. All'ombra della Casa Bianca, un asse guidato da Usa, Russia, Australia, Arabia saudita si è preoccupato di tenere ben alta la leva del freno a mano. E' stato un susseguirsi di annacquamenti, ritirate, veti e sabotaggi. Si è cominciato impedendo alla conferenza di accogliere l'ultimo rapporto Onu che segnala il pericolo che il clima sfondi il muro dei 2 gradi di riscaldamento, per continuare con la provocazione di una mostra (americana) a favore del carbone, il combustibile più inquinante. Forse, dunque, è giunto il momento di far fare alla politica del clima un salto di qualità.

L'idea del protezionismo ambientale, in realtà, viene da una fonte sospetta: il Media Day di martedì scorso a Parigi, organizzato dall'Arcelormittal, il maggior produttore mondiale di acciaio, grande signore del carbone, inquinatore principe come ben sanno quelli che, come i cittadini di Gand, vivono accanto ad una delle sue acciaierie e come temono di apprendere quelli di Taranto, visto che è il nuovo proprietario dell'Ilva. Adiya Mittal ha, però, puntato il dito su un problema reale. Nel 2021, in base alle nuove direttive Ue, le acciaierie europee dovranno ridurre del 43 per cento le proprie emissioni (la siderurgia è una delle industrie che ne produce di più). Secondo alcune stime, significa, alla tecnologia attuale, un aggravio di costi del 30 per cento. Che, però, i produttori extraeuropei, esenti dalla direttiva, non dovranno sostenere. Quello siderurgico è un mercato mondiale, non diversamente dal petrolio. Dunque, l'Europa, che già sta aumentando le proprie importazioni di acciaio al ritmo di 26 milioni di tonnellate l'anno, ne importerà sempre di più, dato che quello cinese, canadese, brasiliano costa meno. La direttiva Ue, di fatto, argomenta Adiya Mittal, rischia non di cambiare "come" viene prodotto l'acciaio, ma solo "dove". Perché allora non mettere "dazi verdi", come li chiama il presidente del grande gruppo siderurgico, alle frontiere?

Mittal fa i suoi interessi. Al riparo dei "dazi verdi" potrebbe mantenere le sue quote di mercato e giustificare gli investimenti fatti in Europa, invece di restarsene nella natia India. Tuttavia, il problema di una concorrenza falsata, a favore dei produttori extraeuropei, esiste e più acciaio importato fuori dalla Ue e dai suoi vincoli significa anche, globalmente, più anidride carbonica prodotta.

La regione più virtuosa, in termini di iniziative contro l'effetto serra, potrebbe insomma lanciare la sua sfida. Se chi vuole esportare nella Ue acciaio si preoccupasse di sfuggire ai dazi, riducendo anche lui le emissioni di Co2, si innescherebbe una catena di effetti positivi che potrebbe portare lontano. E l'incasso dei dazi potrebbe anche essere messo a frutto. Ad esempio, per la ricerca sulla Ccs, la cattura e sequestro dell'anidride carbonica, ovvero il modo per abbattere le emissioni di industrie come la siderurgia, una tecnologia che i grandi gruppi ritengono troppo costosa per essere perseguita senza incentivi pubblici.

(La Repubblica)