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Conte e Tria vicini all’accordo con Bruxelles

Servono due miliardi, il premier e il ministro tornano a Roma con diverse opzioni per Di Maio e Salvini

Pubblicato il 15/12/2018

marco bresolin, fabio martini

inviati a bruxelles

Alle cinque della sera, dopo due faticose giornate di trattative con l’establishment europeo, il ministro dell’Economia Giovanni Tria si congeda dai giornalisti e, lasciando il granitico palazzone Justus Lipsius, fa trapelare la notizia: «Riparto, resta il mio staff». Dunque, il ministro torna a Roma assieme al presidente del Consiglio e ci torna perché la sua missione sostanzialmente è compiuta: la trattativa con la Commissione europea sulla «riscrittura» della manovra è terminata.

Certo, restano da limare alcuni dettagli e per questo compito è rimasto il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera. Ma Tria e Conte hanno completato il proprio lavoro: ora la palla torna ai leader della maggioranza per quello che fonti coinvolte nei negoziati definiscono «l’avallo politico». Tria è stato di parola. Giovedì aveva detto: «Resterò finché non avremo un accordo». Ora l’accordo devono vidimarlo (o rivederlo) Salvini e Di Maio.

Restano da fare ancora alcuni tagli, un intervento da circa 2 miliardi di euro. Su quali misure? Il Tesoro e la Commissione non hanno concordato una soluzione definitiva, ne hanno ipotizzate «diverse». Sul tavolo ci sono infatti più opzioni (tra cui un ulteriore rinvio temporale di reddito e/o quota 100): si è deciso di procedere in questo modo proprio per lasciare la scelta nelle mani della politica. Tria ha esercitato così fino in fondo il suo ruolo di ministro «tecnico».

Ieri si è incontrato nuovamente con il commissario Pierre Moscovici e con il vicepresidente Valdis Dombrovskis, un vertice a tre che ha permesso di fare progressi sulle grandi linee della trattativa. Poi le due squadre di negoziatori tecnici hanno proseguito il lavoro per limare le distanze dovute alle divergenze nelle previsioni economiche. Ma soprattutto per mettere a punto una serie di aggiustamenti tecnico-contabili che potrebbero eliminare alcune spese dal calcolo del deficit strutturale. C’è il piano contro il dissesto idrogeologico, che vale oltre due decimali di Pil: un pacchetto da quasi quattro miliardi di euro, di cui uno destinato al programma straordinario di manutenzione della rete viaria. Nella trattativa è stato inserito anche un piano per la riduzione dei tempi della giustizia civile e penale, ma non si tratterebbe di una cifra consistente. Su queste due voci di spesa il governo ha richiesto di usufruire delle clausole di flessibilità, ottenendo già un sostanziale via libera.

A Bruxelles c’è soddisfazione per il lavoro sin qui fatto. «Ci siamo quasi», sussurrava ieri sera una fonte aggiornata sull’esito delle trattative, mentre le luci negli uffici al decimo piano del palazzo della Commissione erano ancora accese. Ancora per poco, visto che oggi dovrebbero rimanere spente. Teoricamente era previsto un negoziato a oltranza, ma ora la vera partita si è spostata a Roma. Le luci del Palazzo Berlaymont sono pronte a riaccendersi per chiudere definitivamente l’accordo. L’obiettivo è farlo entro domani sera, ma è possibile che la «firma» slitti a lunedì. Sempre che tutto vada per il verso giusto.

Il presidente del Consiglio, da settimane fautore di un accordo con la Commissione, nei tre giorni trascorsi a Bruxelles ha cercato in tutti i modi di spianare la strada. Ieri mattina aveva fatto colazione con la Cancelliera Angela Merkel nell’hotel che ospitava entrambi. Una chiacchierata senza patos, al termine della quale la Cancelliera si è detta «fiduciosa». Anche se da parte italiana (Cinque Stelle) le attribuiscono una preoccupazione per la spesa pensionistica.

Poi, a conclusione del Consiglio europeo, Conte ha diffuso i suoi messaggi in conferenza stampa. A chi gli chiedeva se fosse disponibile a scendere sotto il 2,04 di deficit, ha risposto: «Il saldo è quello, non abbiamo altri margini. L’Italia è qui a testa alta, non siamo al mercato, su quel saldo si possono costruire delle tecnicalità».

E la conferma che l’accordo non è ancora chiuso: «Il testo lunedì nella Commissione Bilancio del Senato? Forse arriveremo tardi e saremo costretti a portare il maxi-emendamento direttamente in aula».

(La Stampa)