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Le scuole di alta formazione dei professionisti non devono fare utili

Per poter godere di un regime fiscale agevolato, i costi dovranno essere sostenuti per la maggior parte dagli ordini mentre i contributi versati dagli iscritti fruitori dovranno “coprire soltanto una minima parte dei costi

di Michele Damiani

Le scuole di alta formazione dei professionisti non devono fare utili. Per poter godere di un regime fiscale agevolato, la loro attività dovrà essere di natura non commerciale, ovvero i costi dovranno essere sostenuti per la maggior parte dagli ordini mentre i contributi versati dagli iscritti fruitori dovranno «coprire soltanto una minima parte dei costi complessivamente sostenuti dall'ente per offrire il servizio».

Questo il contenuto della risposta fornita dall'Agenzia delle entrate al Consiglio nazionale dei commercialisti che, lo scorso giugno, aveva richiesto un chiarimento dall'Ade in merito al trattamento fiscale da considerare per le entrate conseguite dalle organizzazioni non profit istituite dagli ordini territoriali con lo scopo di curare l'attività di formazione degli iscritti all'albo (come, ad esempio, le Scuole di alta formazione).

Il Cndcec chiedeva, anche per conto degli ordini territoriali, quale regime fiscale dovesse adottare per quanto riguarda le entrate provenienti dalle attività di formazione erogate da queste organizzazioni esterne agli ordini stessi. Nella sua risposta, l'Agenzia ricorda, innanzitutto, che la qualificazione fiscale degli enti strumentali si differenzia nel caso in cui siano enti commerciali o non commerciali.

A livello generale, sono commerciali quando le attività formative sono esercitate abitualmente secondo le modalità proprie di un'attività economica organizzata professionalmente. «Restano invece ininfluenti le finalità perseguite nonché la presenza o meno del fine di lucro». In particolare, affermano dalle Entrate, «l'attività di formazione può considerarsi non commerciale, ai fini delle imposte sui redditi e dell'Iva, a condizione che l'ente strumentale non percepisca alcun corrispettivo dai fruitori dell'attività di formazione o da parte di altri soggetti, ovvero a condizione che gli importi corrisposti dai fruitori consentano la copertura soltanto di una minima parte dei costi complessivamente sostenuti dall'ente per offrire il servizio, in modo che tali importi non possano considerarsi retribuzione del servizio reso». In sostanza, secondo l'orientamento dell'Agenzia, l'assenza del carattere di commercialità dell'attività si verifica quanto il «sostegno finanziario avviene strutturalmente e stabilmente attraverso contributi versati dagli ordini non aventi natura di corrispettivo ma genericamente finalizzati alla copertura dei costi gestionali sostenuti dall'ente». Un punto specifico della richiesta di chiarimento avanzata dal Consiglio nazionale all'Agenzia delle entrate riguardava le Scuole di alta formazione. Anche in questo caso, il regime fiscale sarà dovuto dalla natura delle attività svolte e sulla commercialità dell'ente.

15/12/2018

(Italia Oggi)