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L'industria si ferma e avvicina lo spettro recessione

Il rallentamento certificato dell'Istat aggiunge un nuovo segnale preoccupante sullo stato di salute della nostra economia, a pochi giorni dall'atteso dato cruciale sulla crescita del quarto trimestre. E le ingenti risorse messe a disposizione in Manovra per reddito di cittadinanza e quota 100 non sembrano destinate a dare la scossa che serve al Paese

 

di ROBERTO PETRINI

11 Gennaio 2019

 

La recessione non è ancora certificata, e tutti si augurano che non arrivi. Tuttavia il rallentamento della produzione industriale di novembre, comunicato dall’Istat, mette senza dubbio l’economia nelle sabbie mobili. Il dato relativo alla crescita dell’industria di novembre delinea, e in qualche modo anticipa, il risultato del Pil del quarto trimestre del 2018 atteso tra qualche giorno. La scadenza è cruciale: infatti se il quarto trimestre 2018 fosse negativo, o segnasse zero, come molti prevedono, si sommerebbero due trimestri consecutivi di risultato deludente. Forse tecnicamente si disquisirà se si potrà parlare di recessione o meno ma sicuramente l’Italia sta ormai planando su una economia stagnante.

 

La caduta della produzione industriale italiana arriva dopo il dato analogo di novembre di Francia e Germania. Soprattutto quest’ultima, locomotiva d’Europa, sta segnando il passo come conseguenza della guerra dei dazi dello scorso anno, e delle crisi di Brexit e Turchia, come nota l’ultimo rapporto di Congiuntura Ref, che hanno diminuito le importazioni. Dall’export, sul quale pure contiamo, dunque non potremo avere grande aiuto.

 

Così la questione sul tavolo all’inizio del nuovo anno è piuttosto evidente: siamo in grado di reagire all’appiattimento dell’economia? La risposta suscita più di un dubbio: i margini di azione dei conti pubblici sono limitati dalla “sorveglianza” di Bruxelles, circa 10 miliardi sono stati stanziati per misure come reddito di cittadinanza e prepensionamenti di cui è perlomeno controverso lo stimolo sull’economia. Sulle opere pubbliche, a partire dalla Tav, non si trova il bandolo della matassa e la maggioranza resta bloccata.

 

Ci dovremo rassegnare ad una crescita assai debole per quest’anno: il governo stima l’1 per cento e molti osservatori non vanno oltre lo 0,5-0,6 per cento. Il rischio che la bassa crescita, in assenza delle mani forti di Mario Draghi sui nostri titoli pubblici con la fine del quantitative easing dal 1° gennaio scorso, si sommi con qualche balzo dei tassi d’interesse, riporterebbe in primo piano la questione del debito. Con le conseguenze che ne derivano.

 

(La Repubblica)