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Monetine, addio senza rimpianti a 1 e 2 centesimi. Ma nelle tasche ne restano ancora 7 miliardi

Dal 1°gennaio 2018 la Zecca non conia più i tagli più piccoli e gli esercizi devono arrotondare al multiplo di 5 più vicino per i pagamenti in contanti. Per lo Stato un mini risparmio, per gli esercenti pochi disagi nonostante i timori della vigilia. Nessun riflesso visibile sull'inflazione, anche se nessuno ha vigilato sui possibili rincari

 

di FLAVIO BINI

17 Gennaio 2019

 

MILANO - Servirebbero almeno 400 autoarticolati da 44 tonnellate di carico, un grande parcheggio e un piccolo sconto. Ma tecnicamente l'operazione è fattibile: se gli italiani mettessero insieme tutte le monetine da 1 e 2 cent raccolte a casa nei propri salvadanai e banche e negozi facessero lo stesso, con la più grande colletta della storia del calciomercato, si potrebbe quasi comprare il cartellino di Cristiano Ronaldo. Novantotto milioni di euro in contanti, o quasi.

 

Solo una delle tante ipotesi. D'altra parte una qualche utilità per i 7 miliardi di ramini ancora in circolazione andrà prima o poi trovata. Dal 1 gennaio del 2018 la Zecca non conia più i due tagli più piccoli delle monete, i negozi sono autorizzati ad arrotondare per difetto ed eccesso, e quindi a non restituire il resto in monetine, che un po' per volta cominciano anche a sparire dai nostri portafogli, pur mantenendo però il corso legale, vale a dire che qualsiasi negozio è sempre autorizzato ad accettarle. Quel che è certo è che nessuno ne sente la mancanza. A ridosso dell'approvazione della norma, nel 2017, si temevano possibili disagi per gli esercenti a causa degli arrotondamenti o problemi di approvvigionamento. A un anno dallo stop al conio però il bilancio è positivo.

 

Mini risparmio per lo Stato

Le prime ad avere guadagnato dallo stop al conio sono le casse pubbliche. I numeri, modesti per la verità, sono certificati dalla relazione tecnica del dl 50/2017 che ha introdotto la norma. Produrre una moneta da un centesimo costa poco meno del suo valore: 0,00906 euro. Farne una da due è un po' più caro: 0,001136 (poco più di un centesimo). Morale: tenendo conto che per l'ultimo anno di produzione sono stati commissionati 260 milioni di pezzi da 1 centesimo e 150 milioni di pezzi da 2 centesimi e che l'addio ai ramini ha comportato un maggior fabbisogno di monete più "grandi", lo Stato ha previsto complessivamente un risparmio di 1,87 milioni di euro.

 

Gli arrotondamenti in negozi e supermercati

Poi c'è la comodità. L'addio alle monetine ha reso più semplice la vita ai consumatori e agli esercenti. La misura sugli arrotondamenti - va ricordato - vale soltanto per i pagamenti in contanti e l'importo si corregge al multiplo di cinque più basso, ad esempio 3,12 centesimi diventa 3,10 e 6,78 diventa 6 euro e 80 cent. Gli unici che ne risentono sono gli esercizi della grande distribuzione e tutti i piccoli negozi che lavorando a peso arrivano automaticamente a prezzi in centesimi. "Con franchezza - dice Gian Paolo Angelotti, presidente degli alimentari di Confesercenti - il cent non è mai stato uno strumento di pagamento nei negozi tradizionali, è una moneta scomoda, occupa spazio e dà soltanto noia, da noi si è sempre adottato per eccesso o per difetto".

 

Stesso discorso per i supermercati. Da Carrefour a Iper, tutte le principali catene, contattate da Repubblica, spiegano che nonostante qualche allarme della vigilia disagi proprio non se ne sono visti. Esselunga spiega di avere "già adottato da tempo una politica di arrotondamenti prima dell'introduzione della legge", mentre Conad fa sapere che "a partire da dopo l'estate c'è effettivamente stato un tema di approvvigionamento ma i punti vendita hanno sempre applicato arrotondamenti a favore dei consumatori".

 

Inflazione sotto controllo

E i prezzi? Tolti dal campo problemi di contabilità o approvvigionamento, alcune associazioni dei consumatori mettevano un guardia su un possibile e pericoloso rialzo dei prezzi. Arrotondamento di qui e arrotondamento di là, denunciavano, l'inflazione rischierà di salire ulteriormente. Timori, per il momento infondati. Esplosioni dei prezzi dei beni più "a rischio" non se ne sono visti: secondo gli ultimi dati sull'inflazione diffusi mercoledì dall'Istat, il cosiddetto "carrello della spesa", cioè l'indice dei prezzi dei beni a più largo consumo, è cresciuto nel 2018 dell'1,2% a fronte di un +1,5% dell'anno precedente.

 

E se i rincari dovessero arrivare in futuro, non sfuggirebbero comunque all'occhio attentissimo dell'Istituto di statistica. "I prezzi utilizzati per calcolare gli indici dei prezzi al consumo sono sempre registrati al centesimo di euro. Quindi - spiega Federico Polidoro, responsabile del Servizio Sistema integrato sulle condizioni economiche e i prezzi al consumo dell'Istat- l’andamento dell’inflazione tiene conto di scostamenti di piccola entità che si dovessero determinare sul mercato per i diversi prodotti del paniere, incorporando anche fenomeni di arrotondamento dei prezzi che si fossero eventualmente verificati a causa dello stop al conio delle monete di piccolissimo taglio, sebbene - osserva Polidoro - non ne siano stati misurati gli effetti specifici".

 

Il monitoraggio mancante

E aspettando che il sismografo dell'Istat rilevi qualche variazione sospetta è rimasta lettera morta la richiesta prevista dalla legge di un monitoraggio affidato al Garante per la sorveglianza dei prezzi che avrebbe dovuto vigilare sulle "variazioni dei prezzi di beni e di servizi praticati ai consumatori finali" riferendo "su base semestrale le dinamiche e le eventuali anomalie dei prezzi dallo stesso rilevate nell'esercizio delle proprie attività". Della ricognizione, si spiega informalmente dagli uffici del Garante, non c'è traccia. Nessuno in ogni caso ne ha sentito la mancanza, visto che dai piani più alti del governo non sono arrivate sollecitazioni in questo senso.

 

Il confronto con gli altri Paesi

Nel resto d'Europa intanto ogni Paese procede per conto proprio. Mentre l'emissione delle banconote è competenza della Banca Centrale Europea, quella del monete è in capo ai Paesi pur con la supervisione dell'Eurotower che deve approvare il volume annuale di produzione. In Irlanda da ottobre 2015, nei Paesi Bassi da settembre 2004 e in Belgio dal 2014 li esercizi sono già liberi di arrotondare i prezzi ai 5 centesimi più vicini, come previsto dalla norma italiana mentre in Finlandia la regola della correzione del prezzo è un obbligo già dall'introduzione dell'euro.

 

Non tutti però snobbano i centesimi come qui. Secondo un'indagine condotta dalla Bce nel 2016, l'Italia si posiziona esattamente nella media europea, con il 63% che dichiara, o meglio dichiarava, di utilizzarli per i pagamenti. Numeri ben diversi dalla Lituania, dove la percentuale sale all'84%. Sul lato opposto della classifica la Finlandia, dove le monetine sono usate per pagare solo nel 20% dei casi. Il premio "salvadanaio" va ai cittadini austriaci. Oltre la metà dei cittadini non le spende né le dà via immediatamente. Le conserva a casa. Non si sa mai.

 

 

 

(La Repubblica)