News

Quota 100, Tfr a effetto rallenty per i dipendenti pubblici

Uscite possibili il primo agosto, anticipo della liquidazione ma di soli 30.000 euro, una cifra che non copre neanche la metà di un tfr medio di un dipendente pubblico. Gli interessi dovuti per il versamento verranno coperti al 95% dallo Stato

 

di ROSARIA AMATO

18 Gennaio 2019

 

ROMA - Si era parlato di 50.000, 60.000 euro. Invece l'anticipo del Tfr per i dipendenti pubblici si riduce a 30.000 euro: così stabilisce il testo definitivo del decreto legge su quota 100 e reddito di cittadinanza varato giovedì sera dal Consiglio dei ministri. Sicuramente per chi va in pensione per vecchiaia i 30.000 euro sono un vantaggio: altrimenti l'attesa era di oltre due anni, 27 mesi circa. Ma per i "quotisti" gli svantaggi si cumulano: oltre alla decurtazione della pensione (che comunque accumuna tutti i dipendenti pubblici e privati che optano per quota 100) per i pubblici si prospetta però un'attesa di circa otto anni per ottenere il saldo del Tfr, una disparità stridente con i colleghi del settore privato.

 

La misura riguarda circa 130.000 lavoratori sui circa 355.000 che aderiranno a quota 100. Inoltre i termini per loro slittano ad agosto. La norma è stata anticipata nel pomeriggio di ieri da un tweet del ministro per la Funzione Pubblica Giulia Bongiorno: "#Quota100 dopo anni di lunghe attese, finalmente i dipendenti pubblici - 'quotisti' e non - che andranno in pensione avranno subito 30mila euro di tfr/tfs, con interessi al 95% a carico dello stato. Lavoreremo per aumentare cifra, fino a 40-45mila euro. Un risultato storico!".

 

Salta dunque l'ipotesi dell'accordo con le banche per avere tutto il Tfr in anticipo. Nei giorni precedenti il varo del decreto c'erano stati contatti con l'Abi per la costituzione di una piattaforma aperta a tutti gli istituti di credito per una ripartizione dei costi sugli interessi per l'anticipo del Tfr, una soluzione problematica perché il peso sarebbe ricaduto in buona parte sugli stessi dipendenti pubblici.

 

I sindacati avevano chiarito che una soluzione del genere sarebbe risultata inaccettabile. La norma del decreto legge del resto sana solo in parte la disparità di trattamento dei dipendenti pubblici rispetto ai privati per la pensione di vecchiaia, disparità che è oggetto di impugnazione davanti alla Corte Costituzionale da parte della Fp Cisl. "La differenziazione delle tempistiche per l’accesso alla pensione, penalizza fortemente lavoratrici e lavoratori pubblici. - ribadisce però il segretario Maurizio Petriccioli - Stante il decreto, un lavoratore pubblico che matura i requisiti dal 1 gennaio, ha il diritto alla pensione dopo 6 mesi. Il governo dovrebbe spiegare qual è il motivo per cui considera le lavoratrici e i lavoratori pubblici italiani come persone con dignità ed esigenze diverse da chi opera nel settore privato".

 

"Per quanto riguarda invece i tempi di erogazione della buonuscita, - prosegue Petriccioli - il governo ha scelto la strada delle convenzioni con gli istituti di credito. Se il meccanismo è quello di erogare immediatamente il tfr/tfs fino a 30.000 euro e di lasciare sulle spalle dei dipendenti pubblici il 5% di interessi dovuti alle banche, non condividiamo questa impostazione per la quale si devono sborsare risorse proprie per avere ciò che spetta di diritto. Parliamo inoltre di una soluzione davvero risibile se pensiamo che la liquidazione nel settore pubblico, in media, si attesta oltre i 60.000 euro. Nel merito siamo molto chiari: abbiamo raccolto decine di migliaia di firme e avviato cause pilota in diversi fori d’Italia tra cui Roma, Milano, Genova e Ancona. Andremo avanti e siamo pronti ad interpellare la Corte Costituzionale se il Governo non intende superare questa ingiustificata disparità e tornare alla normativa precedente".

 

(La Repubblica)