No sindacato??? No democrazia!!!

Molti discettano quotidianamente dell’attuale crisi finanziaria internazionale e relative ricadute sul sistema Paese individuando, a seconda delle correnti di pensiero, diversi elementi costitutivi dell’attuale impoverimento generale. Parimenti l’Italia che secondo Dante “non è donna di provincia ma bordello”, continua a registrare una drammatica segmentazione di strati sociali che si diversificano sempre più per l’ingresso, nelle fasce degli incapienti, di nuove classi sociali. Ritengo assolutamente non strategico in tale sede analizzare l’eziologia dell’attuale aberrante clima sociale che vede, per la protezione delle lobby bancarie e finanziarie, sempre più lavoratori dipendenti e pensionati perdere dignità sociale per carenza di autonomia economica. Più utile appare, invece, in tale sede delibare su una dirompente strategia governativa per la quale ogni negata omologazione al cosiddetto “verbo ministeriale” produce:

a) emarginazione;

b) provvedimenti legislativi negativi;

c) destrutturazioni legalizzate dall’alibi della razionalizzazione dei costi.

In particolare, sul Pubblico Impiego si assiste oramai da mesi ad una controriforma che registra fra le prime vittime il ruolo del Sindacato, in quanto colpevole di non “aderire” ad assunti riformistici che spesso mal nascondono strategie di riduzione di costi di spesa per rispettare impegni bilanciatici europei. In tale contesto, è particolarmente grave l’avvenuta formalizzazione della unilateralità delle relazioni sindacali per cui il Governo “provvede su tutto” con atti unilaterali con i quali crea parametri, decide entità, eroga somme, prescindendo dalla contrattazione e quindi dalle richieste dei lavoratori, laddove quando e se giungerà mai un contratto, quest’ultimo svolgerà un ruolo meramente marginale ed ancellare . Trattasi di un ruolo puramente passivo nel quale si vuole relegare chiunque, ai diversi livelli, opera nella P.A. e quindi di una strategia governativa che, all’interno di una scientifica propaganda e sondaggi di sostegno, coinvolge non solo la riforma dell’Amministrazione pubblica ma la modernizzazione dell’Italia. Diversi danni sono già realtà, laddove il programma governativo sulla modernizzazione della P.A. e non solo, ha demolito gli effetti positivi della cosiddetta privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico. In altri termini, “si predica bene e si razzola male”: non si riducono le posizione dirigenziali pubbliche, non si introduce una valutazione trasparente per l’affidamento degli incarichi dirigenziali, si registra un ritorno al passato in ambito contrattazione, non si introduce una Autorità indipendente per la valutazione della P.A., non si valuta il merito, non si sanzionano i veri responsabili, non si responsabilizzano i dirigenti e non si lega la retribuzione ai risultati. In sintesi, troppi slogan, troppa propaganda, eccessive controriforme della P.A., nessun efficace contenimento dei costi. Manca, in particolare, un confronto pubblico sul funzionamento  dell’Amministrazione, sugli obiettivi di miglioramento, sulla relativa valutazione interna ed esterna, su un programma serio per la trasparenza. Per l’Amministrazione Finanziaria, in particolare, si registra un vero e proprio “boomerang”, sintetizzabile in una tranciante affermazione dell’attuale Direttore dell’Agenzia delle Entrate: senza il ripristino delle risorse finanziarie tagliate i risultati attesi potrebbero non essere conseguiti. L’attuale sistema Agenziale ha subìto e subisce, da un lato un centralismo decisionale politico comprovato, peraltro, dall’assenza di delega per il personale ad alcun Sottosegretario, unitamente ad uno “spoil system” che risponde a mere logiche di partito, con pochissime eccezioni, dall’altro l’abbandono della storica specificità del comparto Agenziale, negata in sede di Dipartimento delle Finanze, unitamente ad una destrutturazione della medesima, insita nei fondamenti del federalismo fiscale. All’orizzonte, in sede di tramonto, si assiste ad un oligarchico centro decisionale “la triade famosa”, gabinetto del Ministro, Comitati di Gestione e Direttori delle Agenzie, che all’occorrenza strumentalizza l’alibi della carenza di riferimenti politici per sostenere, ovvero demolire, sia le istanze tutorie delle OO.SS. sia una turbolenta periferia, soffocata da un rapporto gerarchico e da un rapporto contrattuale che poco lasciano alla dignità dei lavoratori ed alla libera manifestazione del pensiero. Una piramide più che mai “gerarchizzata” che svolge, quotidianamente, tre elementari funzioni:

a) esecuzione pedissequa di disposizioni apicali;

b) attività antisindacale, finalizzata all’emarginazione del ruolo delle OO.SS.,

c) unilaterale reingegnerizzazione sia del teorema lavorativo sia della struttura e degli organi amministrativi.

In sintesi, si assiste alla combinazione di svariati fenomeni destabilizzanti il tradizionale consolidato sistema amministrativo: la dirigenza, specie di seconda fascia, rappresenta oggi quel mancato volano che, invece, ipocritamente, molti attori richiamano quale salvifico, illuminato e moderno datore di lavoro, laddove in realtà è politicizzato, precarizzato ed oggetto di continue riforme e controriforme, con il risultato che è una delle poche realtà in Italia non sindacalizzate e, quindi, priva di concrete tutele; La situazione di cui sopra è stata oggetto, recentemente, di un convinto braccio di ferro tra due Ministri e le più rappresentative Confederazioni che altro non rivendicavano se non di svolgere un preciso ruolo in seno a delle regole prefissate che, purtroppo, sono state cambiate in corso di partita (cfr disegno di legge Sacconi su riforma sciopero, il Dm Brunetta su riduzione dei distacchi e dei permessi, ecc). Da qui il disvelarsi del “dna democratico” dell’attuale governo: la legittimazione elettorale è assorbente di ogni altra realtà istituzionale e costituzionale, paradigma rinforzato, settimanalmente, da sondaggi “ben pilotati”. Precipitato di tale situazione è, da un lato, l’abrogazione implicita del ruolo sindacale e, dall’altro, l’azzeramento di un confronto con l’opposizione consentito da un massiccio ricorso alla decretazione d’urgenza. L’alibi, infine, di una illuminata strategia che, in attesa di distribuire sopratutto risorse, razionalizza i costi, ha finora provocato il blocco dei consumi, una strisciante recessione, la strumentalizzazione politica di rivendicazioni sindacali e la traslazione, nel regno della povertà, di nuove classi di lavoratori.  Guardando il tramonto, nell’attesa dell’alba, i salari attendono incrementi, il potere di acquisto delle retribuzioni ha subìto un celere funerale, laddove la disperazione dei lavoratori ha ricompresso nella propria rabbia la fiducia nel ruolo del sindacato. La rappresentazione di cui sopra, è aggravata dall’attuale caduta di valori sociali e non: in una generale paralisi d’orgoglio, molti, troppi scelgono la servitù al potere, abbandonando la coltivazione dell’interesse collettivo, per sacralizzare il perseguimento degli interessi economici e professionali individuali. Per l’Amministrazione Pubblica, al danno la beffa: non bastava al potere politico giustificare i tagli di risorse con esigenze bilancistiche, occorreva anche demolire l’immagine del lavoratore pubblico, cavalcando la storica insoddisfacente qualità dei servizi pubblici e quindi il giudizio negativo degli utenti. Si attendono, comunque, gli annunciati ritorni da una complessiva strategia demolitiva di tutto ciò che opera e lavora al di fuori della dominante classe politica. Molti ritengono che siamo in riserva di democrazia, troppi temono di vivere una giornata da leone, altri attendono che si avvicini l’alternanza al potere ma, soprattutto, milioni di lavoratori e pensionati sperano che qualcuno si ricordi di loro. Infine, un’autocritica si impone: atteso che anche la classe sindacale, specie confederale, ha commesso diversi errori, laddove il sindacalismo autonomo ancora non è riuscito a conquistare il ruolo che merita, necessita un deciso ritorno a un Sindacato di “vera” tutela. Quanto sopra, tuttavia, non giustifica che l’attuale “apparente democrazia” si svolga, talvolta, senza regole, spesso modificando o le attuali regole ovvero, non rispettando le poche rimaste ancora in piedi. Esistono, comunque, incredibile a dirsi, delle donne e degli uomini che vogliono e sanno vivere diversamente, lavorare diversamente, tutelando valori ed interessi diffusi, soprattutto delle lavoratrici e dei lavoratori più deboli, che non condividono la paventata evoluzione del sindacato in mero “fornitore di servizi”. Morale della favola: per quanto ci riguarda, la lotta all’evasione è oggi semplicemente un demagogico slogan, rimessa in realtà agli introiti da autoliquidazione, alla catastalizzazione dei redditi, ai controlli induttivi o sintetici, agli accordi con le categorie professionali. Apertis verbis: non si investe più sulla macchina amministrativa, né sul personale, né sulla credibilità del sistema, laddove tutti sottolineano il dato esponenziale di una evasione fiscale che si aggira intorno ai 300 miliardi di euro annui. È assente una vera strategia sulla lotta al sommerso e all’elusione. Noi, i lavoratori, il sistema paese, subiscono, da un lato, una tassazione iniqua e, dall’altro, una politica salariale che, per i dipendenti dell’A. F. rende non più attrattiva l’Amministrazione Finanziaria. Prescindendo, per ragioni di stile, dall’evidenziare la giungla retributiva per la quale, laddove molti sopravvivono con stipendi da terzo mondo, diversi eletti Dirigenti generali vivono invece alla grande, con retribuzioni ingiustificate, fra l’altro, in un contesto di politica fiscale che tutela il reddito d’impresa e penalizza il reddito da lavoro dipendente, invogliando e legittimando, fra l’altro, la cultura dell’evasione fiscale, in attesa di una stagione condonale più che probabile, riteniamo che occorra reagire all’attuale situazione. All’iniquità finanziaria, sociale e fiscale, si è aggiunta ora anche quella salariale che impedisce vite dignitose e mortifica qualsiasi progettualità sul futuro. Mancano molti presupposti per scommettere sul futuro. Manca un vero dialogo politico, sociale e sindacale e manca, soprattutto, un’opposizione politica autorevole e rispettata. Una concreta speranza è comunque rappresentata da chi come noi, rischiando in proprio, lavorano per ripristinare principi e valori fondanti di una Carta Costituzionale oramai, dai più, disapplicata.

(articolo di  Sebastiano Callipo – MP – 27.10.2008)