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Sviluppo umano: spettro povertà per 2,3 mld. Italia 26esima, ma per le donne è 61esima

 

Il rapporto delle Nazioni Unite svela che 1,2 miliardi di persone vivono con 1,25 dollari al giorno, o meno. Otto anziani su dieci mancano di reti di protezione sociale. La graduatoria dell'Indice di Sviluppo umano dominata dalla Norvegia. L'Italia conferma la posizione, ma il gender gap resta enorme

 

di RAFFAELE RICCIARDI

 

MILANO - In un mondo dove 3,5 miliardi di persone mettono insieme le stesse ricchezze delle 85 più ricche, le Nazioni Unite si sono ritrovate nuovamente a chiedere alla politica uno sforzo comune e coordinato per cercare di livellare le diseguaglianze e diffondere il benessere alle fasce che non lo conoscono. Queste ultime sono molto ampie e come sempre in questi casi i numeri dicono più di ogni altra affermazione: 1 miliardo e 200 milioni di persone vivono con 1,25 dollari o meno al giorno, ma le stime peggiorano se si tengono in considerazione parametri più ampi che quelli semplicemente reddituali.

Le ultime riguardano il Multidimensional Poverty Index, targato Undp, e rivelano che quasi 1,5 miliardi di persone in 91 Paesi in via di sviluppo vivono in povertà, con privazioni che si sovrappongono tra gli ambiti della salute, dell'istruzione o delle condizioni di vita. E nonostante la povertà nel complesso sia in contrazione, ci sono altri 800 milioni di individui che rischiano di scivolarsi se il corso della loro vita o quello del Paese in cui vivono dovesse subire un contraccolpo.

Alcuni flash che provengono dallo Human Development Report presentato in settimana dalle Nazioni Unite a Tokyo. Punta il dito sugli aspetti della "vulnerabilità" di moltissime persone, che si sono sedimentati nel tempo come risultato della discriminazione e del fallimento delle politiche socioeconomiche, colpendo gruppi come gli anziani, i migranti, le donne o i giovani, o ancora coloro che hanno disabilità. Per esempio, si scopre che l'80% della popolazione mondiale anziana non ha una sufficiente protezione sociale, che per di più si accompagna a povertà e disabilità.

Ancora, otto persone su dieci, nel mondo, mancano di protezione sociale, mentre il 12% (842 milioni di persone) soffre di fame cronica e quasi la metà di tutti i lavoratori del globo terracqueo sono occupati in maniera precaria o irregolare. Proprio la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è "il" problema crescente per i Paesi in via di sviluppo, in particolare perché sempre più ragazzi intraprendono il percorso scolastico. Khalid Malik, direttore dell'ufficio sullo Sviluppo umano dell'Undp, e principale autore del report, sottolinea infatti al Guardian: "Quando le persone sono più istruite, cambia il loro rapporto con la concezione di cittadinanza, e si aspettano una maggiore gratificazione dal lavoro. Il nostro rapporto mostra quanto si stia ampliando, in maniera sostanziale in Africa, il fossato tra persone che si affacciano al mondo del lavoro e reale disponibilità di posti di lavoro".

L'indice aggregato dello Sviluppo umano (Hdi) dice che l'Italia si posiziona 26esima al mondo: è alle spalle di Slovenia e Finlandia, che la precedono immediatamente, e ben lontana dal podio sul quale si confermano la Norvegia e l'Australia, seguite da Svizzera e Olanda che rubano spazio a Stati Uniti e Germania. Durante gli anni della crisi, tra il 2008 e l'anno scorso, l'Italia ha perso due posizioni. Per il Belpaese arriva un bruttissimo segnale da una nuova rilevazione contenuta nel rapporto: quella del Gender Development Index, che misura il gap di genere nell'indice di sviluppo umano. In pratica, quanto distano all'interno di un Paese uomini e donne: l'Italia in questa particolare graduatoria scivola giù fino al 61esimo posto. In sedici Paesi soltanto i valori degli Hdi sono uguali per uomini e donne, cioè la differenza di genere non comporta un "minus" nel confronto tra una cittadina e un cittadino e i percorsi verso la propria realizzazione non sono più in salita per le donne. Il Paese più iniquo è l'Afghanistan, dove il valore dell'Hdi delle donne è pari soltanto al 60% di quello degli uomini.

Tutti i quattro gruppi di Paesi, dai più sviluppati ai più arretrati, stanno sperimentando un netto rallentamento nella crescita degli indici di sviluppo. Nei Paesi arabi, Asia e Pacifico, America Latina e Caraibi - ad esempio - il tasso annuale di crescita degli Hdi si è dimezzato nel periodo 2008-2013, quello della crisi economica, rispetto al precedente 2000-2008. Un aspetto positivo è dato dal fatto che i Paesi più arretrati stanno comunque crescendo a un ritmo superiore rispetto agli altri, lasciando sperare i ricercatori del fatto che il gap possa iniziare a restringersi.

 

(La Repubblica)