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Pensioni, un miliardo all’anno da quelle oltre i 3500 euro netti per aiutare esodati e cassintegrati

 

Nel piano del governo previsto un prelievo sulla differenza tra l’assegno calcolato con il retributivo e quello teorico contributivo

 

di ROBERTO MANIA

 

ROMA - Tagli alle pensioni “d’oro e d’argento” calcolate con il vecchio metodo retributivo. Il governo pensa a un prelievo di solidarietà sulla differenza tra l’assegno pensionistico che si riceve in base alle regole pre riforma Dini (1996) e l’importo teorico che si sarebbe invece maturato applicando il metodo contributivo, quello adottato integralmente per i lavoratori più giovani. Nelle casse previdenziali potrebbe arrivare così un miliardo l’anno destinato a sostenere il reddito di coloro che a pochi anni dalla pensione perdono l’occupazione (gli esodandi) ma anche (almeno fino al suo totale superamento) la cassa integrazione in deroga che oggi garantisce un’indennità soprattutto ai lavoratori delle piccole imprese in crisi. Non è nemmeno escluso che una parte degli introiti possa essere dirottata a rafforzare le pensioni minime. Dipenderà tutto dalle risorse (che potrebbero salire anche a un miliardo e mezzo l’anno) e dunque dall’ampiezza della platea dei lavoratori coinvolti.

Prima della pausa estiva i tecnici del ministero dell’Economia hanno ragionato in particolare su un’”asticella” piuttosto bassa fissata intorno ai 50-60 mila euro lordi all’anno di pensione. Più realistico che l’asticella sia messa a un livello superiore: 3.500 euro netti al mese. La decisione sarà tutta politica. Anche se era stato il commissario straordinario per la spending review, Carlo Cottarelli, poco dopo il suo insediamento a dire che sarebbe stato necessario «toccare le pensioni d’oro e d’argento ». Sia raffreddando i meccanismi di perequazione, per quanto sostanzialmente non scattino con la deflazione, sia, appunto, con un contributo di solidarietà, diverso però da quelli introdotti dai governi Berlusconi e Monti, e bocciati dalla Corte costituzionale.

Nessun intervento, invece, sul fronte dell’età pensionabile che resterà quella fissata dalla legge Fornero (67 anni) anche perché un cambio di rotta su questo fronte non verrebbe consentito dai “guardiani” di Bruxelles.

Il pacchetto pensioni che entrerà nella prossima legge di Stabilità (il governo dovrà vararla entro il 20 ottobre) è già stato sottoposto alle simulazioni dei tecnici dell’Inps e della Ragioneria dello Stato. Punta da una parte a eliminare strutturalmente il fenomeno dei cosiddetti esodati, o meglio di coloro che perdono il lavoro in età matura e che rischiano di restare senza pensione e senza stipendio per diversi anni, e, dall’altra, ad introdurre un principio di solidarietà, anche generazionale, nel mondo del lavoro.

Va detto però che all’interno dello stesso esecutivo le posizioni non sono esattamente compatte: al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che domenica in un’intervista al Corriere della sera ha confermato le linee di intervento, ha replicato ieri il viceministro dell’Economia, Enrico Morando (Pd): «Il contributo di solidarietà sulle pensioni alte mi sembra un argomento che lascerei per un’altra fase». Tace palazzo Chigi (anche perché è stato Poletti a riaprire la discussione), ma nel passato il premier Matteo Renzi non escluse (lo disse, per esempio, davanti alle telecamere di Porta a Porta) un contributo di solidarietà a carico delle pensioni superiori ai 3.500 euro netti al mese (circa 6 mila lordi) calcolati con il metodo retributivo. Ipotesi, peraltro, sostenuta dal consigliere economico del presidente del Consiglio, e parlamentare del Pd, Yoram Gutgeld nel suo libro “Più uguali più ricchi”. Così l’asticella dei 3.500 euro netti al mese di pensione definita con il metodo retributivo sembra effettivamente quella più realistica.

Ieri con Poletti si è schierato il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti (Scelta civica) che in Parlamento ha presentato anche una proposta di legge: «Un contributo di solidarietà può e deve essere chiesto sull’eventuale differenza tra il livello di pensione che viene percepito e quello che viceversa spetterebbe sulla base della capitalizzazione dei contributi versati». L’allarme è invece scattato non solo tra i rappresentanti dei dirigenti d’azienda (sono tra quelli che ricevono le pensioni più ricche) ma anche tra i sindacati che vedrebbero penalizzata quella parte significativa dei propri iscritti, scampata alla riforma Dini, che ha maturato l’assegno pensionistico in base alle retribuzioni degli ultimi dieci anni.

Partita aperta sul fronte politico e sindacale con ricadute dirette su quello tecnico. Perché va definito il livello di reddito pensionistico a partire dal quale intervenire, perché va fissata la percentuale del prelievo. L’Inps ha comunque elaborato un modello in grado di ricalcolare l’importo con il metodo contributivo per i pensionati del settore privato, mentre qualche problema potrebbe sorgere per quelli del pubblico impiego nel quale i contributi nel passato non venivano sostanzialmente versati.

Le risorse saranno utilizzate soprattutto per sostenere il reddito dei lavoratori maturi che a 4 o 5 anni dalla pensione dovessero perdere il posto. Evitando nuovi esodati. Lo schema prevede che a questi lavoratori, che avrebbero difficoltà a trovare una nuova occupazione, vada dopo i due anni di indennità di disoccupazione (l’Aspi), un assegno di circa 750 euro al mese per il periodo necessario a maturare i requisiti per la pensione di vecchiaia. Una volta in pensione il lavoratore restituirebbe a rate quello che è di fatto un anticipo della pensione. Insomma una sorta di prestito previdenziale. La perdita sarebbe intorno al 5-6 per cento dell’assegno mensile. Un’operazione che allo Stato costerebbe circa 500-600 milioni l’anno. E ci sarebbe anche un contributo da parte delle aziende interessate per evitare che in questo modo possano surrettiziamente riemergere i prepensionamenti. Secondo le simulazioni dei tecnici ogni lavoratore in uscita costerebbe alle aziende 12-15 mila euro e i lavoratori interessati potrebbero essere intorno ai 30-40 mila l’anno.

Accanto al contributo di solidarietà è allo studio il raffreddamento dei meccanismi di adeguamento automatico delle pensioni al costo della vita. Questione marginale in questa fase in cui l’inflazione sta andando in territorio negativo, ma che riemergerebbe una volta che l’inflazione dovesse ritornare sul target europeo del 2 per cento. L’ipotesi più probabile è che si introducano delle fasce di reddito meno sensibili alle dinamiche inflazionistiche con il crescere dell’importo.

E nella legge di Stabilità potrebbe infine essere inserito un tetto alle pensioni calcolate pro rata con il metodo contributivo. In mancanza di un limite, infatti, oggi alcune categorie che possono andare in quiescenza con oltre 70 anni di età (dai professori universitari ai magistrati), riescono a maturare un assegno pensionistico pari al 100 per cento, ma anche oltre, dell’ultima retribuzione.

 

(La Repubblica)