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Stipendi pubblici, la Corte dei Conti: "L'Italia non spende tanto, ma male"

 

L'analisi dei magistrati contabili: il costo del lavoro per lo Stato è di 164 miliardi, ma l'incidenza sul Pil è inferiore a molti Paesi Ue e nell'ultimo triennio il conto è sceso di 8 miliardi. I problemi sono altri: età (il 50% è over 50) e produttività. Il governo pensa a un nuovo congelamento dei salari e i sindacati insorgono; la ripresa della contrattazione può costare 6,5 miliardi nel prossimo triennio

 

di RAFFAELE RICCIARDI

 

MILANO - Hanno stretto la cinghia in maniera sensibile negli ultimi anni e nel complesso non costano eccessivamente - rispetto ad altri Paesi - per lo Stato. Ma il problema, come spesso accade in Italia, è che le risorse investite per stipendiare i dipendenti pubblici (164 miliardi nell'esercizio 2013) sono allocate in maniera tutt'altro che efficiente e in modo da stimolarne la produttività. Il giudizio emerge da uno degli ultimi documenti disponibili sul tema che sta infiammando l'opinione pubblica, dopo che nel governo è emersa l'ipotesi di estendere fino al 2018 il congelamento degli stipendi della Pa: si tratta del capitolo che la Corte dei Conti ha dedicato al pubblico impiego nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica del 2014. Una relazione che getta luce sui sacrifici del comparto, che ora sale sulle barricate per contrastare quello che i sindacati definiscono un "tradimento" dello Stato, ma anche sui suoi problemi.

Spese in diminuzione. I magistrati contabili iniziano la ricognizione sul pubblico impiego ricordando che, soprattutto grazie al blocco della dinamica retributiva iniziato nel 2010, le spese complessive sono scese: 164 miliardi nel 2013, con una diminuzione cumulata di 4,6 punti percentuali nell'ultimo triennio che corrisponde a 8 miliardi di risparmi.

I valori di spesa risultano "in linea con quelli rilevati negli altri Paesi dell'Ue, con alcuni rapporti particolarmente virtuosi". Il riferimento è a quello tra spesa del personale e Pil, "previsto sotto il 10% nell'esercizio 2016". Ad oggi, si è poco sopra l'11% contro il 19% della Danimarca, il 14,4% della Svezia, il 13,4% della Francia o l'11,5% della Gran Bretagna. Spende meno la Germania, sotto l'8%. Da un rapporto un po' più datato (maggio 2013) di Forum Pa emerge che anche in numero non ci sono squilibri: i dipendenti pubblici italiani (circa 3,3 milioni) sono meno del 15% del totale degli occupati, contro il 20% della Francia e il 19% del Regno Unito.

Rischio aggravio. Tornando alla Corte dei Conti, la ricognizione sui dati del Def 2014 (in attesa del suo aggiornamento previsto per il 1° ottobre) ricorda che si prevede un ulteriore taglio alla spesa per redditi (a legislazione vigente) dello 0,7%. Solo dal 2018, con la ripresa del turnover e l'indennità di vacanza per il triennio di contrattazione, si prevede un +0,3 per cento della spesa. Ma il quadro a politiche invariate, che prevede il riavvio della contrattazione collettiva dal 2015-2017 e per il triennio successivo, in base alla media degli ultimi incrementi retributivi legati al rinnovo dei contratti, prevede un aggravio della spesa di 6,5 miliardi nel triennio che comincia nel 2015. Proprio quello che un'eventuale estensione del blocco, lanciato come ipotesi del Tesoro da Il Messaggero, vorrebbe evitare. Nello stesso Def, d'altra parte, si pone il blocco delle retribuzioni come calcolo tendenziale dei prossimi anni, fino al 2018.

I problemi: l'età e la formazione. Fotografata la situazione, e in attesa delle scelte politiche, i magistrati contabili puntano il dito contro quello che non funziona. Come spesso accade, infatti, le scelte finanziarie hanno portato a un maggior equilibrio (come dimostra il confronto internazionale), ma non sono incisive per la qualità della distribuzione delle retribuzioni e della composizione della forza lavoro pubblica. A partire dall'età: "La percentuale di dipendenti con età superiore a 50 anni è pari a circa il 50%" per l'Italia, mentre i maggiori Paesi industrializzati hanno "valori prossimi al 30%". In Francia il 6% degli occupati ha meno di 25 anni e il 22% è tra 25 e 34 anni; nel Regno Unito sono rispettivamente al 5 e 20%. "Per l'Italia la prima percentuale risulta irrisoria, mentre i lavoratori sotto i 35 anni sono appena il 10%", chiosano sul punto dalla Corte dei Conti.

Dai dati del Forum Pa si possono aggiungere altri rilievi: le donne sono il 55% degli impiegati pubblici, ma calano drasticamente quando si passa alla dirigenza (nel caso dei dg delle aziende sanitarie, al tempo si censirono 28 donne su 254). Ancora, la formazione: hanno la laurea solo il 34% degli impiegati pubblici contro il 54% dei colleghi Uk. Di nuovo, le progressioni: i dipendenti pubblici diminuiscono, ma tutti progrediscono e crescono i dirigenti. Nel 2003 ogni dirigente contava 12,3 addetti nel comparto, che si sono ridotti a 11,5 dopo dieci anni; in Francia, invece, un dirigente ha sotto di sé 33 dipendenti.

E la produttività? Se i precedenti rilievi possono esser risolti con un vero turnover e specializzazione, per il trattamento economico l'invito della Corte è di premiare la produttività. Nel periodo antecedente al 2010 (pre-blocco), "pur con una sostenuta crescita delle retribuzioni, il valore delle risorse utilizzabili per incrementare la parte premiale è rimasto simile a quello di 10 anni prima". La tabella della Corte mostra come sia risicato il rapporto tra componenti fisse della retribuzione e le voci accessorie e, tra queste, il peso connesso al recupero di produttività o al maggiore impegno dei dipendenti. "Si tratta di percentuali che oscillano tra il 2 e il 30 per cento, aventi comunque un valore in termini assoluti di poco più di qualfche migliaia di euro lordi per addetto"

Non a caso, oltre ad auspicare il riavvio della contrattazione, la Corte dice che "il punto cardine del nuovo assetto retributivo" dovrebbe essere "la creazione di un effettivo sistema incentivantee premiale con una entità di risorse adeguata, correlata a parametri macroeconomici, da distribuire tra le varie amministrazioni secondo criteri che privilegino i risultati ottenuti nella spending review".

 

(La Repubblica)