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Joseph Stiglitz: "Ue e Bce si sveglino, ormai resta poco tempo per innescare la ripresa"

  

di EUGENIO OCCORSIO

 

"La politica economica europea deve cambiare al più presto. Ogni giorno che passa il costo del ritardo di un'inversione di marcia si fa più pesante, e si accentua la sensazione di assistere ad un penoso fallimento dalle conseguenze catastrofiche". Joseph Stiglitz risponde al primo squillo e parla con tranquillità dalle rive del lago Lindau, in Germania, che ospita l'annuale raduno dei premi Nobel.

Ma le cose che dice non sono tranquille: "Ora che tutta l'Europa è in sostanziale recessione, Germania compresa, è grave che non si cerchi rapidamente di cambiare politica. Questo non è un disastro provocato da una guerra o un cataclisma, è il risultato di politiche sbagliate messe in atto dai politici europei, quelle dell'austerity a tutti i costi ". Economista della Columbia, Nobel 2001, già capo dei consiglieri di Clinton e oggi "consulente- dissenziente" di Obama (ha spiegato che malgrado i suoi consigli la riforma finanziaria sembra "scritta sotto dettatura delle banche"), Stiglitz è il capofila di neo-keynesiani.

Keynes proponeva una tassazione speciale su tutti i Paesi in avanzo commerciale. Lei vuole riservare questo trattamento alla Germania?

"La Germania doveva avviare politiche espansionistiche, dal varo di infrastrutture paneuropee a un aumento dei salari per stimolare la domanda, finché era in tempo. Ma ormai si è fermata: imputet sibi, dicevano i latini. A forza di bloccare lo sviluppo, Berlino paga le scelte che ha imposto all'area euro. È stato fatto un incredibile numero di errori. Rischiate una fuga di capitali dall'intera area di proporzioni mai viste".

Lei ha chiarito, insieme all'altro Nobel Amartya Sen, di non essere "anti-euro", però ha detto che il primo di questi errori è stata la creazione stessa dell'euro. Ne è ancora convinto?

"Non ha più senso porsi questa domanda. Ormai l'euro c'è, smantellarlo avrebbe costi proibitivi. Ma perserverare con queste politiche è drammatico. Già è sicuro che per l'Europa questo sarà un decennio perduto, se non si cambia strategia diventerà un quarto di secolo. C'è chi ostenta il recupero spagnolo: ma un Paese con la disoccupazione al 25% di che ripresa parla? E un continente dove la media è del 12% perché non abbandona l'austerity e vara un grande piano di investimenti pubblici e di sostegno a quelli privati? E la Grecia, dove le ferite inferte al corpo sociale sono inguaribili? Una vittima della politica fiscale sconsiderata impostata all'inizio degli anni '90, quando si credeva che una volta risanate le finanze pubbliche tutto si sarebbe risolto e il libero mercato avrebbe fatto il resto. Ecco il risultato".

E l'Italia?

"C'è un importante impegno sulle riforme. Però, attenzione: le vere riforme strutturali devono essere quelle europee. Comincerei con la riforma fiscale, e con l'introduzione di una tassa comune sulle rendite finanziarie. All'Europa serve un approccio socialdemocratico, che sia più vicino ai cittadini ed enfatizzi le politiche sociali".

In quest'inversione a 180 gradi, che ruolo dovrebbe avere la Bce?

"Intanto, ha buona parte della colpa. Ai tempi di Trichet ha fiancheggiato la politica tedesca con tutte le sue rigidità. Ora Draghi dà segni di indipendenza ma la Bundesbank gli limita i movimenti. Speriamo che partano i prestiti "pro crescita" a sostegno delle imprese minori, e che l'unione bancaria proceda più velocemente estendendosi a un sistema di garanzie e di assicurazioni per i correntisti. Ma non basta: la Bce deve lanciare il quantitative easing, e perciò bisogna varare in fretta i sospirati correttivi statutari che l'avvicinino alla Fed, e poi deve organizzare il sistema degli eurobond, l'ultima ancora per salvare l'euro. La Germania parla tanto di solidarietà: ecco la prova che deve dare".

 

(La Repubblica)