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TFR in busta paga, un colpo mortale alla previdenza integrativa

 

In base agli ultimi dati elaborati dal Ministero dell’Economia, ogni anno il controvalore complessivo dei flussi relativi al TFR maturando (ovvero del trattamento di fine rapporto dei lavoratori che matura ogni anno) si attesta a 20,1 miliardi e 5,3 miliardi di queste risorse sono destinate alla previdenza complementare.

È proprio grazie a questo costante versamento, che dalle buste paga dei lavoratori confluisce nei fondi pensione, che la previdenza integrativa ha praticamente visto raddoppiare il patrimonio complessivo in gestione dal 1998 a oggi. Gli ultimi dati di Mefop, l’istituto per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione, indicano in 121,5 i miliardi di patrimonio complessivo della previdenza integrativa in Italia: di questi 37,2 miliardi fanno capo ai fondi pensione chiusi (dedicati a lavoratori di una specifica categoria o Regione), 14,9 miliardi ai fondi pensione aperti (sottoscrivibili da ogni tipologia di lavoratore) e 14,4 miliardi alle forme individuali di previdenza (i contratti assicurativi dedicati alla pensione di scorta): tutti questi asset erano quasi inesistenti nel 1998 quando cioè è partita la possibilità di far confluire il TFR maturando in una forma di previdenza complementare.

Secondo gli attuari, gli specialisti dei settori assicurativo, industriale, finanziario e previdenziale, che calcolano le tariffe assicurative applicando la matematica e la statistica, togliere alla previdenza integrativa il TFR significa comprometterne la funzionalità e, di fatto, pregiudicare la possibilità che ogni lavoratore possa effettivamente provvedere a colmare il proprio gap pensionistico. Il nuovo sistema INPS basato sui contributi versati e non più sulla retribuzione (o, su un mix delle due componenti) sarà molto penalizzante per i lavoratori italiani: si calcola che il taglio dell’assegno INPS sarà del 20%-30% rispetto all’attuale trattamento a parità di condizioni.

Tradotto in pratica significa che se oggi un lavoratore con 35 anni di contributi può aspirare ad un trattamento pensionistico pari a circa il 60%-70% dell’ultima retribuzione, tra 35 anni potrebbe percepire una pensione pari al 40%-50% dell’ultimo stipendio. Un gap che, secondo gli attuari si potrebbe in buon parte colmare se un lavoratore versasse in una forma di previdenza integrativa il 10% della sua retribuzione a partire dai 25 anni in avanti. Il TFR che matura ogni anno in azienda ammonta al 6,91% della retribuzione a cui va ad aggiungersi un 1,0%-1,50% di contributo del datore di lavoro (che spetta soltanto a chi aderisce al fondo chiuso di categoria): l’insieme di queste due voci si avvicina molto al 10% e permette quindi al lavoratore di costruirsi una pensione di scorta importante.

Ma se, con la crisi in atto, si offre al lavoratore di scegliere se incassare subito il TFR maturando invece che versarlo nel fondo pensione, è molto probabile che si opti per l’uovo oggi invece che per la gallina domani.

Compromettendo, in tal modo, la sua pensione di scorta.

 

(La Repubblica)