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L'Opec non taglia la produzione, petrolio a picco. Btp record al 2,06%L'Opec non taglia la produzione, petrolio a picco. Btp record al 2,06%

 

Il cartello dei produttori si riunisce a Vienna, ma non sforbicia le estrazioni per sostenere le quotazioni. Intanto il crollo dei valori inizia a impattare sulla finanza: le banche avranno difficoltà per i prestiti alle società del settore oil, penalizzate dai corsi della materia prima. Listini cauti, sfilza di dati dalla Germania. Usa fermi per il Ringraziamento

 

di RAFFAELE RICCIARDI

 

MILANO - L'Opec non taglierà la produzione di petrolio e la reazione delle quotazioni del greggio è di un ulteriore calo: il Brent crolla sotto quota 72 dollari al barile, per il Wti si infrange la soglia di 69 dollari. D'altra parte era questo l'evento più atteso della giornata da parte dei mercati, insieme alle indicazioni provenienti dalla Germania sulla forza dell'economia tedesca e nel giorno del Ringraziamento che congela il flusso di novità dagli Usa.

Le ultime indicazioni intorno ai dodici Paesi del cartello dell'oro nero, che pesa per il 40% circa delle estrazioni al mondo ed ha la sua guida nell'Arabia Saudita, davano per vincente l'ipotesi di non spostarsi dall'accordo di estrazione fissato a 30 milioni di barili al giorno. Sia l'Arabia Saudita che l'Iran, ad esempio, pensano che il mercato si regolerà da solo, attraverso il livellamento dei prezzi. Il problema è che nessuno vuole tagliare la produzione, per la paura di perdere quote di mercato in corrispondenza con la crescita dell'energia Usa basata sullo shale. Anzi, gli Stati Opec cercano così di mettere fuori mercato la nascente industria a stella e strisce, portandola a livelli di prezzo insostenibili.

Il panel di venti economisti di Bloomberg era comunque spaccato in due sul possibile esito del summit austriaco. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia, con l'attuale livello di produzione Opec il prossimo anno si andrà verso un eccedenza di 1-1,5 milioni di barili al giorno. In un recente report, SocGen ha stimato che con la libertà di oscillazione dei prezzi si potrebbe presto arrivare a circa 65 dollari al barile per il Wti, in linea con i costi di produzione negli Usa con la tecnologia shale.

Il maggior livello di estrazione registrato negli Usa da trent'anni e la crisi economica che avvolge l'Europa sono stati gli elementi determinanti nel crollo dei prezzi, che hanno alimentato a loro volta la deflazione serpeggiante. Da giugno, le quotazioni hanno perso quasi un terzo del valore e i rischi di questa situazione - oltre che per i bilanci dei Paesi produttori, fortemente dipendenti dall'export di oro nero - iniziano a farsi sentire anche nella finanza. Come scrive il Financial Times, infatti, Barclays e Wells Fargo potrebbero incontrare forti perdite su un prestito da 850 milioni di dollari a due società petrolifere. Si tratta, per il quotidiano della City, di un segnale di come la flessione dei prezzi del greggio si stia facendo sentire sull'economia.

Come accennato, oltre al petrolio si guarda alla densa agenda macro europea: si parte col Pil spagnolo, che sale dello 0,5% nel terzo trimestre e dell'1,6% annuo. Ma gli occhi vanno soprattutto sulla Germania: dopo i segnali positivi dell'Ifo di inizio settimana, il tasso di disoccupazione è incoraggiante con un novembre in calo al 6,6%. Si tratta di un risultato migliore rispetto a quello indicato dal consensus degli analisti per una stabilità al 6,7%, come nei mesi precedenti. Sempre a novembre risultano 14mila disoccupati in meno a fronte dei -23mila di ottobre. Ancora in Germania, la fiducia dei consumatori sale a 8,7 punti a dicembre, oltre le attese. Male, invece, il dato sull'inflazione, che allerterà ulteriormente la Bce di Draghi: a novembre frena con una crescita dei prezzi dello 0,6% annuo, minimo da cinque anni. In Italia, l'Istat censisce un contraccolpo nella fiducia delle imprese a novembre, in calo.

A novembre, rispetto al mese precedente, l'indice Esi che misura la fiducia di imprese, operatori economici e consumatori nelle prospettive dell'economia è rimasto stabile a livello di Eurozona (+0,1) mentre è diminuito di un punto e mezzo in Italia e di 0,7 in Germania. Lo ha reso noto la Commissione europea. L'indice Esi è rimasto sostanzialmente invariato anche nel complesso dell'Unione europea (-0,1).

In questo contesto i listini archiviano una seduta in rialzo: Piazza Affari aggiunge lo 0,81% portandosi sui massimi da inizio ottobre; Francoforte guadagna lo 0,6%. Londra cala dello 0,09%, mentre Parigi ritarda l'apertura - con tutto il circuito Euronext - a fine mattinata per motivi tecnici e recupera lo 0,2%. In evidenza Piaggio, che sfrutta la promozione da parte di Kepler a "buy". Bene intanto le immatricolazioni di veicoli commerciali nella Ue: +10,8% a ottobre, +16% per l'Italia. Finmeccanica registra l'accordo record da 1 miliardo per Atr. Il Tesoro, intanto, ha venduto tutti i 7 miliardi complessivi di Btp e Cct indicizzati all'Euribor oggi in asta, con tassi ai minimi record sul Btp a cinque anni (0,94%) e 10 anni (2,08%).

Lo spread tra il Btp e il Bund si stabilizza in area 135 punti - sui livelli di metà settembre - con un rendimento che scende ai nuovi minimi al 2,06%. Mario Draghi, relazionando al parlamento finlandese, ha di nuovo avvicinato il quantitative easing - l'acquisto di titoli sul mercato - ricordando i molti rischi che pendono sull'economia Ue. Parole che hanno portato un po' tutti i titoli di Stato dell'Eurozona ad aggiornare i record, con i Bund ad esempio allo 0,7%.

L'euro chiude in calo a 1,2481 dollari e 147,09 yen. I preoccupanti dati sui prezzi al consumo in Germania, ormai sull'orlo della deflazione, aumentano le possibilità che la Bce vari nuove misure di allentamento monetario. Lo yen prosegue il recupero sul dollaro a quota 117,77. La decisione dell'Opec pesa sulle monete di due importanti esportatori come Russia e Norvegia. Il rublo arretra a quota 47,60 sul dollaro mentre la corona norvegese cede l'1% a quota 8,62 sull'euro.

In mattinata, la Borsa di Tokyo ha chiuso in ribasso dopo il rafforzamento dello yen: l'indice Nikkei ha perso lo 0,8%, attestandosi a quota 17.248,50. L'apprezzamento della divisa nipponica sul dollaro e i dati negativi in arrivo dagli Usa hanno portato alla seconda chiusura in rosso per la Borsa giapponese che giovedì aveva ceduto lo 0,1%. Con Wall Street chiusa fino a lunedì per il lungo weekend della Festa del Ringraziamento, i volumi degli scambi sono stati limitati, i più scarsi dal 10 novembre. In ribasso anche l'indice Topix che ha ceduto l'1,03% e ha chiuso a quota 1.391,90. Ieri la Borsa Usa ha chiuso positiva grazie ad un rally nel finale dopo una giornata incerta: il Dow Jones è salito dello 0,1%, l'S&P 500 ha aggiunto lo 0,3%, il Nasdaq ha guadagnato lo 0,6%.

Da segnalare il boom di contrattazioni sul listino di Shanghai: oltre alla connessione con quello di Hong Kong, per facilitare gli investimenti sulla Cina continentale, la Piazza asiatica (che ha chiuso a +0,94% ai picchi dall'agosto 2011) beneficia del taglio dei tassi della Banca centrale e della disponibilità all'iniezione di liquidità. Il volume di scambi ha doppiato, nell'ultima seduta, la media che si registra sullo S&P500.

 

(La Repubblica)