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Così fa i soldi Whatsapp

 

I messaggi istantanei mandano in crisi i vecchi sms. Creando un nuovo modello di business. E cresce anche la concorrenza

 

DI MARCO CONSOLI

26 febbraio 2015

 

A chi utilizza ancora con frequenza il proprio cellulare per inviare un messaggio sms, i risultati ottenuti nel 2014 da Facebook dovrebbero dar da pensare. Nell’anno appena concluso il più famoso tra i social network ha visto provenire il 69 per cento del proprio fatturato (pari a 12,4 miliardi) dal mercato mobile, su cui ormai si attestano i quattro quinti degli utenti attivi e gran parte degli introiti pubblicitari. Questo spiega perché qualche mese fa Facebook ha acquisito WhatsApp, la società creatrice dell’omonimo programma di messaggistica istantanea per telefonino (il cosiddetto “instant messaging”), per la cifra record di 19 miliardi di dollari.

 

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Alla notizia, gli analisti erano rimasti perplessi: secondo gli ultimi dati disponibili prima dell’acquisizione, nel 2013 WhatsApp aveva generato ricavi infinitesimali rispetto ai soldi sborsati dal colosso fondato da Mark Zuckerberg per comprarsela: 10,2 milioni di dollari, a fronte di perdite nette per 138 milioni. A spiegare un investimento a prima vista tanto insensato c’è il successo del software, arrivato nel frattempo a superare i 600 milioni di clienti, e dei programmi analoghi come WeChat e Line, che sono pronti a spartirsi quest’anno un mercato globale di più di 2 miliardi di persone con in tasca uno smartphone.

 

L’introduzione della messaggistica istantanea, che permette di chattare praticamente gratis, ha quasi mandato in pensione i tradizionali sms e il loro remunerativo modello di business: secondo uno studio di Deloitte nel giro di soli due anni il numero dei messaggi istantanei ha più che doppiato quello degli sms. E i gruppi attivi nei servizi di telecomunicazione sono riusciti a tamponare l’emorragia di ricavi che facevano sui vecchi messaggini solo grazie ai maggiori introiti per gli abbonamenti al traffico dati, su cui gli smartphone e le applicazioni come WhatsApp si appoggiano.

 

L'acquisto miliardario di WhatsApp da parte di Facebook ha cambiato le carte in tavole nel settore della messaggistica. Dove a contendersi il ruolo di erede degli sms, e il relativo buiness, sono in tanti

Ovviamente non è tutto platino quel che brilla. Sempre secondo la Deloitte, alla vistosa crescita di utenti non corrisponde ancora un congruo aumento di fatturato: nel 2014 il traffico globale legato alle chat ha generato infatti ricavi per circa 2 miliardi di dollari, contro i cento derivanti dagli sms. Anche se si tratta di un rapporto destinato a invertirsi, nessuno è per ora in grado di prevedere quanto valore si sposterà da un segmento all’altro. Il valore in più dei messaggi istantanei, rispetto sia agli sms sia ai social network come Facebook, è la possibilità di dare accesso immediato alla chat e a un universo che non è fatto solo di parole scritte, ma anche di immagini, video, messaggi vocali e una miriade di simboli (chiamati in genere adesivi) che richiamano personaggi e situazioni con cui personalizzare le conversazioni.

 

Un sistema di comunicazione adattabile ad ogni esigenza, che ha permesso l’ingresso di vari concorrenti sul mercato. Facebook associa a WhatsApp la propria chat Messenger (500 milioni di utenti) e secondo le indiscrezioni è pronta a integrare i due programmi per accorpare la massa di utilizzatori, massimizzando le potenzialità di un bacino così ampio. I principali antagonisti di Zuckerberg sono la cinese Tencent , che ha in carniere WeChat (468 milioni i utenti) e QQ (542 milioni), usato soprattutto in Asia, mentre la giapponese Line Corporation propone Line, che pure ha 560 milioni di clienti. Tra i contendenti c’è anche l’italiano Indoona, sviluppato nel 2011 dal gruppo Tiscali, che permette di chattare e chiamare i propri contatti, e ha 2,5 milioni di utenti. Poi c’è la più recente WhichApp, che offre la traduzione istantanea dei messaggi in altre lingue ed è particolarmente attenta alla privacy: anziché il numero di telefono, che resta nascosto, gli utenti si contattano tramite un codice Pin.

 

Naturalmente il presupposto per usare tutte queste applicazioni è di essere collegati al Wi-Fi o avere un abbonamento dati con un operatore telefonico, cosa che diventa più difficile quando si è in viaggio all’estero. Perciò Manuel Zanella, fondatore della società Zeromobile, vuole sfruttare l’occasione con WhatSim, una carta prepagata che per 10 euro consente di inviare messaggi tramite WhatsApp da 150 Paesi senza costi aggiuntivi, e prevede pacchetti di crediti virtuali venduti a 5 euro per inviare foto, video e audio ai propri contatti.

 

Molti utenti hanno più di un programma sul proprio telefono e «per fare affari è necessario avere un numero alto di utenti attivi», spiega a “l’Espresso” Andrea Ghizzoni di WeChat Italy. Rispetto a Facebook, Tencent già da tempo ha un business ben avviato, che funge da modello anche per i Paesi occidentali. Visto che il pagamento del software è una strada poco remunerativa (WhatsApp ad esempio è gratuito per un anno e poi chiede 0,89 centesimi l’anno per abbonarsi), «le strategie percorribili sono tre», spiega Ghizzoni: «La prima, molto forte in Cina, è quella dei videogame, con la chat che rende possibile sfidare i propri amici. La seconda è quella dell’e-commerce, che permette di effettuare pagamenti tra privati, ma anche di usare il programma come borsellino elettronico per gli acquisti».

 

Al prezzo di una piccola commissione a Pechino ad esempio si può già utilizzare per pagare un taxi o le bollette, comprare un biglietto aereo o per il cinema, fare donazioni e acquistare fondi d’investimento. «L’idea è avviare i pagamenti anche in Italia nei prossimi mesi», spiega Ghizzoni, «anche se da noi il margine su ogni transazione sarà pari a decimi di punto percentuale. Nel nostro Paese però è già attivo il terzo tipo di business, che consiste nel fornire alle aziende accesso alla piattaforma, comprensivo di servizio e-commerce, per permettergli di interagire con altre aziende o utenti finali». Il fatturato di Tencent nell’ultimo anno è cresciuto del 28 per cento, raggiungendo i 3,2 miliardi di dollari, anche grazie al successo di WeChat. In Giappone, dove la cultura dei personaggi virtuali è molto in voga, già oggi funzionano i videogame e la vendita di adesivi per la chat, e Line, che solo col suo programma di messaggistica nel 2013 ha fatturato 318 milioni di dollari, ha annunciato lo scorso ottobre l’imminente lancio di un servizio di pagamento per acquisti online e in negozi convenzionati.

 

La cosa importante da ricordare è che siccome la chat su telefonino è percepita come uno strumento di comunicazione personale, i software permetteranno alle aziende di avere un rapporto più stretto con il consumatore. Ecco perché diversi giornali aprono spazi sui programmi di messaggistica: in Italia “Repubblica” è da poco sbarcata su WhatsApp, una strategia perseguita fra gli altri anche da “Wall Street Journal” e Bbc. E altre aziende si sono accorte delle potenzialità del nuovo mezzo: su Snapchat oltre 100 milioni di utenti possono vedere “Literally Can’t Even”, la prima serie tv realizzata apposta per Instant Messaging; e consultare contenuti prodotti da network come Cnn e National Geographic. In Italia la divisione di distribuzione cinematografica di RaiCinema, che si chiama 01 Distribution, ha da poco lanciato un proprio canale su WhatsApp.

 

L’utilizzo sempre più massiccio anche nei luoghi di lavoro, con messaggi personali e professionali che si mescolano tra loro, ha fatto sorgere l’esigenza per molte imprese di sviluppare programmi di messaggistica di loro esclusiva proprietà. «Le aziende non vogliono che i propri dipendenti chattino di affari sui WhatsApp o WeChat», ha dichiarato Johnson Liu, fondatore di Peer.im, uno strumento pensato per creare una rete di contatti e comunicazione aziendale interna, oltre che per dialogare i clienti. In maniera analoga HeyWire dà la possibilità di scambiare messaggi tracciabili tra i dipendenti e dà alla forza vendite uno strumento più agile per raggiungere i compratori.

 

In Italia, poi, è disponibile Orchestra IM, un’iniziativa lanciata dall’azienda milanese VoiSmart, mentre negli Usa continuano a nascere offerte di servizi analoghi che danno il vantaggio di creare gruppi di lavoro in chat, nei quali il dialogo diventa più dinamico rispetto a un normale giro di e-mail.

 

Secondo una ricerca condotta dalla stessa HeyWire, il 67 per cento delle persone usa programmi come WhatsApp e simili per inviare informazioni inerenti il lavoro. Ecco perché la sicurezza è una questione importante, soprattutto in settori dove la divulgazione di informazioni sensibili può causare danni incalcolabili, come ad esempio la finanza. Non a caso la banca americana JP Morgan Chase ha vietato l’utilizzo di messaggi istantanei ai propri dipendenti. Mentre lo scorso ottobre un gruppo di operatori finanziari tra i quali Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e Morgan Stanley, ha investito 66 milioni di dollari per acquistare la tecnologia di messaggistica istantanea creata da Symphony. Un programma in cui è probabile che l’unico adesivo ammesso per personalizzare i messaggi sarà quello delle banconote.

 

Aggiornamento del 27 febbraio ore 13,30: In merito alle indiscrezioni su una presunta unificazione tra il servizio di messaggistica di Facebook e WhatsApp - scaturite dalla comparsa in rete di un link che apparentemente consentiva l’accesso a un’app denominata WhatsApp SSO via Facebook - un portavoce di Facebook precisa che "questo link non ha nulla a che fare con il fatto che WhatsApp e Facebook unifichino i propri servizi. WhatsApp continua a rimanere un servizio separato".

 

(L'Espresso)