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Jobs Act, a marzo 92mila nuovi contratti

 

I dati del Ministero del Lavoro sull'andamento dei contratti nel primo mese di attivazione della riforma del lavoro: 641mila attivazioni e 549mila cessazioni. Cresce l'incidenza del tempo indeterminato, dal 17,5% del 2014 al 25,3%. L'economista: "Segnali positivi, ma non si può parlare di balzo dell'occupazione". Istat: retribuzioni ferme

 

23 aprile 2015

 

MILANO - Cresce il numero di contratti attivato a marzo, mese di debutto del Jobs Act. Si tratta di dati ancora parziali e suscettibili di verifiche, come spiega lo stesso Ministero del Lavoro che li ha diffusi. Intanto, si registra che il numero di attivazioni di nuovi contratti di lavoro è pari a 641.572, in aumento rispetto ai 620mila circa dello stesso mese del 2014. Se si considera che nello stesso mese le cessazioni sono state 549.273, si ha un saldo positivo di 92.299 unità.

 

Una cifra inferiore ai mesi precedenti, ma con una accelerazione per l'occupazione a tempo indeterminato. Tra le attivazioni, 162.498 contratti sono a tempo indeterminato (a marzo 2014 erano stati 108.647). A favore delle politiche del governo, considerando che c'è in campo anche la decontribuzione per le assunzioni del 2015, si può probabilmente leggere l'aumento dell'incidenza dei tempi indeterminati, dal 17,5% del 2014 al 25,3% dello scorso mese. Raddoppiano di fatto anche le trasformazioni di tempi determinati in indeterminati: dai 22.116 del 2014 agli attuali 40.034. I precedenti dati del Ministero del Lavoro indicavano per gennaio 165mila assunzioni a tempo indeterminato (a fine 2014, le imprese avevano rallentato in attesa di sfruttare la decontribuzione e poi hanno 'infornato' numerosi lavoratori) e 138mila a febbraio.

 

Tornando alle attivazioni, 381.234 sono contratti a tempo determinato (in calo rispetto ai 395mila del marzo dello scorso anno), 16.844 sono contratti di apprendistato (21mila nel 2014), 36.460 sono collaborazioni (48.491 nel 2014) e 44.536 sono le forme di lavoro classificate nella voce 'altro'. Sul fronte delle cessazioni, quelle di tempi indeterminati riguardano 131mila casi: il saldo netto dei contratti stabili è quindi positivo per 31mila unità circa. Una leggera accelerazione sui mesi precedenti: a gennaio erano 27mila e a febbraio 18mila.

 

Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, commenta a caldo i dati sottolineando che "il combinato della decontribuzione attiva da gennaio e del Jobs Act dal 7 marzo inizia a vedersi, ma è prematuro dire che c'è stata una spinta occupazionale nel suo complesso". Tra il 2014 e il 2015, aggiunge l'economista, "le assunzioni a tempo indeterminato sono aumentate a un ritmo del 50%", passando da 108mila a 162mila". Ma bisogna riconoscere che una grande incidenza arriva dalle trasformazioni di contratti determinati: "Sono l'81% in più rispetto allo scorso anno, e la loro incidenza sul totale dei tempi indeterminati accesi sale dal 20,4% al 24,6%. Significa che sì aumentano i contratti a tempo indeterminato, ma all’interno di questa voce cresce il peso delle stabilizzazioni nel nuovo quadro delle tutele crescenti", che sono meno 'stabili' del passato.

 

Dal punto di vista qualitativo, questo fenomeno potrebbe "portare ad aspettative di retribuzioni più stabili e quindi a modificare in positivo l'atteggiamento dei consumatori", dice ancora De Nardis. Nel complesso, però, ci vuole cautela nel parlare di un balzo dell'occupazione. Confrontando i dati odierni con le serie dell'Istat (che sono basate su indagini campionarie e con una base diversa), De Nardis sottolinea come "i 93mila posti in più comunicati oggi per marzo 2015 sono in linea con l'aumento degli occupati tracciato da Istat a febbraio e addirittura sotto i livelli di gennaio. Bisognerà attendere quei dati per un raffronto completo, ma al momento è ancora difficile parlare di una vera e propria ripresa dell'occupazione". Su quest'ultima, infatti, "ancor prima che le regole incide l'andamento dell'attività economica e parlare di 'scatto in avanti' non è ancora possibile". A supporto di questa cautela c'è da annotare che a gennaio il saldo netto delle nuove attivazioni era di 335mila contratti e che a febbraio era stato di 123mila, superiore dunque a quello di marzo. Non bisogna poi dimenticare che - sempre secondo l'Istat - la disoccupazione è cresciuta a febbraio ed è quindi lecito aspettarsi una ripresa del mercato del lavoro nel mese successivo.

 

Da altri dati, prodotti dall'Istat, si vede invece che a marzo le retribuzioni contrattuali sono rimaste ferme: lo scorso mese le retribuzioni contrattuali orarie sono risultate invariate su base mensile e in aumento dell'1% rispetto a marzo 2014. A favore dei lavoratori gioca ancora la bassa inflazione: a marzo i prezzi sono scesi dello 0,1% annuo, quindi la variazione degli stipendi è da considerarsi in termini reali positiva dell'1,1%. Complessivamente, nei primi tre mesi del 2015, la retribuzione oraria media è cresciuta dell'1% rispetto allo stesso periodo di un anno fa.

 

I dati dell'Istat, comunicati senza il consueto briefing con la stampa a causa di una protesta dei dipendenti per rivendicazioni salariali, dicono ancora che a fine marzo i contratti collettivi nazionale in vigore per la parte economica riguardano il 43,1% degli occupati dipendenti e corrispondono al 39,9% del monte retributivo osservato. I contratti di lavoro in attesa di rinnovo, a marzo, sono 40 (di cui 15 appartenenti alla pubblica amministrazione) relativi a circa 7,3 milioni di dipendenti (di cui circa 2,9 milioni nel pubblico impiego). I mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto sono in media 39,3, pari a oltre tre anni, in deciso aumento rispetto allo stesso mese del 2014 (27,2).

 

(La Repubblica)