News

Latouche: "Siamo condannati a consumare, ma un mondo più equo è possibile"

 

Il filosofo francese è intervenuto davanti ai delegati di Terra Madre Giovani - We Feed The Planet criticando il modello di società individualista che "ha permesso di liberare le forze distruttive, su cui è basata la società della crescita"



di GIULIANO BALESTRERI



04 ottobre 2015



MILANO - Rivalutare, ridistribuire e rilocalizzare. E ancora: ridurre, riciclare, riutilizzare e ristrutturare. Solo così, attraverso il "circolo virtuoso delle r" è possibile inventare un modo sostenibile di sopravvivere. Serge Latouche, il teorico della decrescita felice, lo ha ripetuto come un mantra davanti ai delegati di Terra Madre Giovani - We Feed The Planet a Milano. Il filosofo francese che ama definirsi ex economista ("perché ho perso fiducia nell'economia, è una menzogna") ha raccontato un altro modo di vedere la produzione, il consumo e i rapporti sociali: "Un modo più equo, più umano, più giusto" perché il sistema produttivo in cui siamo immersi genera ovunque situazioni di ineguaglianza, sfruttamento e prevaricazione. E gli stessi indici di misurazione della ricchezza (come il Pil) sono completamente schiacciati su parametri finanziari e monetari, che non corrispondono al reale benessere delle popolazioni: "L'economia è una religione occidentale che ci rende infelici".

"Oggi - ha detto Latouche - viviamo in una società fagocitata da un'esigenza di crescita che non ha più motivi economici, ma è crescita per la crescita. Illimitatezza del prodotto, quindi illimitatezza dello sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili. Illimitatezza del consumo e quindi dei rifiuti e dello spreco, ossia dell'inquinamento dell'acqua e dell'aria". Una ricerca della crescita alimentata dalla pubblicità che fa desiderare quello che non si ha; sostenuta dalla banche "pronte a prestare denaro, quasi all'infinito" e condizionata dall'obsolescenza programmata: "Siamo condannati a consumare perché i nostri strumenti sono programmati per deteriorarsi più in fretta possibile".

L'alternativa proposta da Latouche è nella decrescita come risposta all'insostenibilità ecologica e sociale della nostra realtà: "Noi occidentali siamo meno del 20% della popolazione mondiale, ma consumiamo l'86% delle risorse naturali. Il nostro stile di vita distrugge la resilienza, la capacità dell'organismo terrestre di affrontare lo shock del cambiamento climatico come la perdita di biodiversità".

Le critiche del filosofo francese sono quindi rivolte verso quel modello di società individualista che "ha permesso di liberare le forze distruttive, su cui è basata la società dei consumi e crescita". Di fatto la ricerca dell'accumulazione continua è "una guerra tutti contro tutti. E' una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all'abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali".

Per gli economisti neoliberisti - prosegue Latouche - l'opzione più terribile è il protezionismo, "ma in realtà è uno strumento di difesa perché è la concorrenza ad alimentare la guerra, come ci dimostra il caso Volkswagen. Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio. Noi abbiamo distrutto l'agricoltura cinese, e in piena reciprocità l'industria cinese distrugge la nostra: ottocento milioni di ex contadini cinesi si accumulano nelle periferie, creando milioni di disoccupati nelle nostre società".

A sostegno della proprio punto di vista Latouche ha citato la New Economics Foundation che calcola l'"indice della felicità" su tre dimensioni: impronta ecologica, speranza di vita alla nascita, e subjective well-being (sentimento individuale di felicità). "Con questi parametri, come nella Bibbia - conclude il filosofo francese - gli ultimi diventano primi e i primi ultimi: Vanatu e Costa Rica sono in cima alla classifica, mentre gli Stati Uniti si collocano in 160esima posizione e l'Italia intorno alla sessantesima".



(La Repubblica)