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Sanità, mancano gli investimenti: tre macchinari su quattro sono obsoleti

 

I bilanci della Sanità sono ormai in equilibrio, ma la spesa corrente equivale a 1.800 euro l'anno per ogni cittadino italiano e quella per investimenti rimane al palo (60 euro). Il rapporto dell'Università Bocconi: le liste d'attesa troppo lunghe portano il 40% dei pazienti a pagare le visite specialistiche, il 49% delle riabilitazioni e il 23% delle analisi

 

27 novembre 2015

 

MILANO - Mentre in Parlamento è ancora in corso il dibattito sulla Finanziaria per il 2016, che comporta un taglio agli stanziamenti per la sanità a 111 miliardi contro i 113 fissati dalla Conferenza Stato-Regioni, l'Università Bocconi certifica nel tradizionale rapporto Oasi sul sistema sanitario che il "75% delle attrezzature del sistema sanitario nazionale ha esaurito il proprio ciclo economico (ammortamento concluso) e tecnologico, ma non essendoci denaro per gli investimenti continua a essere utilizzato". Anzi, sottoutilizzato, sostengono gli autori del Rapporto Oasi, perché, oltretutto, i macchinari sono troppo capillarmente distribuiti tra i presidi ospedalieri e finiscono per rimanere spenti troppo a lungo. Proprio sulla spesa sanitaria, per altro, un'analisi dell'Ufficio parlamentare di bilancio sulla Stabilità 2016 dettaglia che in base alle stime sulla spesa sanitaria della Nota al Def, "che prevedono un calo, in rapporto al Pil, da 6,8 a 6,5 punti percentuali tra il 2015 e il 2019, nel quadro programmatico la riduzione complessiva potrebbe risultare di circa mezzo punto di Pil".

 

Se la spesa corrente del sistema sanitario equivale a 1.800 euro l'anno per ogni cittadino italiano, quella per investimenti rimane al palo ed è di soli 60 euro, in un quadro che vede il conto economico chiudersi, per il terzo anno consecutivo, con un lieve avanzo, a discapito di uno stato patrimoniale aggregato delle singole Aziende che denuncia 33,7 miliardi di euro di perdite accumulate a fine 2013.

 

Nel complesso, la Bocconi sottolinea che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta ormai sotto controllo e, tra il 2009 e il 2014, è cresciuta al moderato ritmo dello 0,7% annuo, invertendo la tendenza rispetto al 6% annuo registrato tra il 2003 e il 2008. Negli ultimi tre anni è stato registrato addirittura un sostanziale equilibrio di bilancio. Ragionando a lungo termine (1990-2014) la spesa sanitaria è cresciuta del 4,2% all'anno, meno della spesa previdenziale (+5,2%). Non mancano, però, i problemi e tra i principali vengono indicati: la mancanza di investimenti; 33 miliardi di debiti rilevati, cumulati al 31 dicembre 2013, negli stati patrimoniali delle aziende; e le difficoltà a far fronte ai 18 milioni di malati cronici.

 

Uno dei curatori del Rapporto, Francesco Longo, alla presentazione ha sottolineato che "la vera sfida del sistema è una riorganizzazione che gli consenta di fare fronte al cambiamento del quadro epidemiologico, il cui aspetto più dirompente è la crescita della cronicità". Secondo Longo "il numero delle unità operative, ospedali in primis, dovrà inevitabilmente essere ridotto, per liberare le risorse necessarie alla cura dei cronici e degli anziani". Per capire la crescita della cronicità, basta affidarsi ai numeri. Tra il 2005 e il 2013 gli italiani che hanno dichiarato di soffrire di malattie allergiche sono passati da 10,7% a 13,7%; il diabete da 4,5% a 5,6%; l'ipertensione da 13,6% a 17,3%; osteoporosi da 5,2% a 7,2%. Tuttavia gli interventi messi campo sono di tipo istituzionale e mirano a rivedere i perimetri aziendali piuttosto che a riprogettare i servizi. Dal 2001 al 2015 il numero di aziende è passato da 330 a 244 (-26%) e altre aggregazioni sono in vista, mentre la geografia dei servizi e i processi produttivi del settore si trasformano a un ritmo molto più lento.

 

Le lunghe liste d'attesa sono tra i motivi che maggiormente spingono i pazienti ad uscire dal sistema pubblico di salute per gli accertamenti e per le visite specialistiche. In Italia il 40% delle visite specialistiche sono pagate direttamente dai cittadini, così come il 49% delle prestazioni di riabilitazione e il 23% degli accertamenti diagnostici. In ogni caso rimane alta la soddisfazione espressa dai cittadini sulle prestazioni ricevute dal SSN, con una valutazione prossima, secondo l'Istat, a un punteggio di 8/10, pur con leggere variazioni in base all'area geografica e al tipo di prestazione richiesta.

 

(La Repubblica)