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Quegli archivi mai digitalizzati che costano 5 milioni alla Pa

 

Il nodo dei documenti che si trovano nel "limbo": non servono per l'attività quotidiana, ma non possono ancora andare nell'archivio storico. La ricognizione della Corte dei Conti: ci sono 287 depositi esterni, 84 dei quali di proprietà privata e un costo di 5 milioni all'anno di affitti

 

05 febbraio 2016

 

MILANO - Trasformare carte e scartoffie in file digitali semplificherebbe senz'altro la vita di molti funzionari della Pa. Ma rappresenterebbe anche un bell'efficientamento dell'amministrazione e un risparmio per le casse dello Stato. Tanto che la digitalizzazione della macchina pubblica è uno dei mantra dei governi che si sono succeduti negli ultimi periodi. Eppure, come spesso accade, le cose avanzano al ralenti. Ne ha preso atto la Corte dei Conti, in una relazione dedicata proprio alla "razionalizzazione degli archivi di deposito", ovvero quelli dei documenti non più necessari all'archivio corrente dell'amministrazione pubblica e non ancora selezionati per l'archivio storico. Un processo che non è ancora partito, nonostante la legge che la disponeva sia datata 2012: la relazione mette nero su bianco che "la maggior parte delle amministrazioni esaminate non si è attivata in tal senso".

 

Uno dei temi forti della legge era proprio la spending review sulla materia. Dalla ricognizione dei magistrati contabili emerge che gli archivi di deposito sono lontani dall'essere concentrati in luoghi organizzati e sicuri. Gli archivi di deposito esterni alle amministrazioni sono "residuali" rispetto a quelli ubicati nell'ambito di sedi destinate anche ad altri usi (ufficio, magazzino, ecc.); su circa 667.000 metri quadri complessivi disponibili per gli archivi di deposito, poco più di 138.000 si riferiscono ai depositi situati all'esterno degli uffici. E anche per gli archivi esterni ci sono punti sui quali intervenire. Alla data del 31 maggio 2015, gli archivi "esterni" ancora a disposizione delle amministrazioni esaminate erano, in tutto, 287. Di questi, 84 (circa il 30%) erano di proprietà privata con oneri annui per fitti passivi quantificabili in poco più di 4,8 milioni di euro. Negli anni, qualcosina è migliorato: gli immobili occupati solo da archivi di deposito sono scesi di venti unità, e il risparmio sugli affitti è stato di 1,82 milioni di euro.

 

La Corte sottolinea in ogni caso come sia stata inadeguata l'attenzione delle amministrazioni alla tematica delle attività di "scarto" che prelude appunto all'invio al macero dei documenti che non servono e alla catalogazione di quelli che andranno nell'archivio storico. "Le operazioni di scarto - si legge nella delibera della Corte - vengono effettuate in assenza di criteri oggettivi, che consentono di evitare il rischio di scelte non coerenti o arbitrarie nella fase di individuazione dei documenti da eliminare".

 

(La Repubblica)