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Pensioni flessibili, tagli legati al reddito e prestito variabile

 

di Luca Cifoni

 

Un menu ancora piuttosto aperto, ma con un paio di punti fermi: limitare al massimo l’impatto sul bilancio pubblico e differenziare le formule di pensione flessibile in base a reddito e condizione del lavoratore interessato. Con questo schema il ministro del Lavoro Poletti e il sottosegretario alla presidenza Nannincini si presentano stamattina ai sindacati, per la riunione con la quale riprende ufficialmente il confronto in tema di previdenza. I tre segretari di Cgil, Cisl e Uil da parte loro proporranno una piattaforma che include anche altri punti ma soprattutto, in tema di flessibilità, prevede la possibilità di lasciare il lavoro senza decurtazioni dell’assegno e senza vincoli legati all’aspettativa di vita, una volta raggiunti i 41 anni di contribuzione: un meccanismo più favorevole dell’attuale pensione anticipata, che guarda un po’ indietro alla vecchia anzianità di fatto soppressa con la riforma Fornero.

 

POSIZIONI DISTANTI

Dunque le posizioni almeno in partenza appaiono distanti ed è probabile che il primo incontro sia abbastanza interlocutorio, per proseguire poi magari a livello tecnico con tavoli più specifici. Ma la stessa proposta di anticipo pensionistico basata sul prestito (per la quale è stata coniata la sigla Ape) contiene ancora diversi punti da definire. Tra gli elementi certi c’è la platea: in prima battuta coinciderà con i nati negli anni 1951, 1952 e 1953 che finora non hanno potuto accedere alla pensione a causa dei nuovi requisiti introdotti nel 2011. In seguito il meccanismo diventerà strutturale e quindi toccherà via via coloro a cui mancano tre anni o meno per raggiungere l’età della vecchiaia.

 

Ma quale sarà la possibilità offerta a queste persone? Sostanzialmente si tratterà di un prestito da parte delle banche o delle assicurazioni, erogato sotto forma di somma mensile come se fosse un reddito. Successivamente, una volta maturati i requisiti pieni, questo importo sarà restituito a piccole rate andranno a decurtare la pensione. Solo la spesa per interessi andrebbe a carico del bilancio pubblico. Già a questo punto si apre un bivio. La prima opzione è lasciare all’interessato la scelta della somma, a partire da una certa soglia minima (ad esempio il 70 per cento della pensione a cui si ha diritto) e quindi anche di un successivo onere variabile. La seconda prevede invece uno schema più rigido, con importi fissi derivanti dal livello di penalizzazione economica a regime. Nel primo caso l’operazione somiglierebbe del tutto ad un mutuo, con una scadenza fissata intorno a 20 anni e lo Stato chiamato a prendere su di sé il rischio di premorienza dell’interessato. Nel secondo invece la decurtazione potrebbe essere perpetua. Non è nemmeno del tutto escluso che le due soluzioni possano essere offerte alternativamente.

 

2016-05-24

(Il Messaggero)