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La proposta della Germania: bail-in anche per i titoli di Stato

 

L’ipotesi del Consiglio degli esperti economici di Berlino per ristrutturare i debiti pubblici. L’obiettivo è ridurre i trasferimenti della Germania ai Paesi fragili in caso di una nuova crisi

 

di Federico Fubini

 

Tommaso Padoa-Schioppa definiva proposte del genere «fischi per cani» perché «noi italiani non le sentiamo». Sono le iniziative prese in Europa delle quali in Italia ci si rende conto quando ormai è tardi. Un caso recente è la direttiva europea sulle banche, che di fatto impedisce i salvataggi pubblici minacciando di colpire i depositi e gli investimenti dei risparmiatori. Molti nel Paese se sono accorti solo quando le nuove norme erano già in vigore, votate (anche) dal governo di Roma e da gran parte degli eurodeputati italiani.

Non è tardi però per avvertire almeno il prossimo «fischio», perché riguarda un tema per l’Italia anche più delicato: il debito pubblico e l’ipotesi che i termini di rimborso sui titoli di Stato vengano fatti slittare e poi drasticamente rivisti al ribasso. La proposta arriva dall’establishment di politica economica tedesco, a un livello avanzato di dettaglio, e applica agli Stati lo stesso approccio che domina la direttiva sui salvataggi bancari. L’idea di fondo è creare un meccanismo semiautomatico per far sopportare ai creditori parte delle perdite di una crisi di debito pubblico, in modo simile a come con il «bail-in» si colpiscono gli investitori quando una banca ricorre all’aiuto dello Stato.

 

«Un meccanismo per regolare la ristrutturazione dei debiti sovrani» è il titolo del documento di lavoro che nel cuore dell’estate il Consiglio tedesco degli esperti economici ha fatto comparire sul proprio sito. Questo organismo dei «cinque saggi» nominati dal governo di Berlino ha il compito di valutare le politiche economiche in Germania; sempre più spesso però agisce anche da influente fabbrica di idee per il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble.

Il documento sui debiti sovrani è firmato da Lars Feld, fra i saggi forse il più vicino a Schäuble, e descrive nei dettagli un doppio ingranaggio: in primo luogo, un sistema quasi automatico di rinvio delle scadenze di rimborso dei titoli di Stato dei Paesi che chiedono l’assistenza dell’Esm (il fondo salvataggi europeo); quindi la prospettiva di un taglio del valore effettivo di quei bond sovrani a danno dei creditori, se dopo qualche tempo l’Esm giudicasse che il debito resta insostenibile.

Il punto di partenza è una silenziosa resa tedesca: la Germania, semplicemente, sta smettendo di credere al Patto di stabilità e ai suoi bizantini rituali. Pochi dentro e intorno al governo di Berlino si illudono ancora che gli attuali sistemi europei di vigilanza sui conti pubblici possano spingere certi Paesi a risanare. «I poteri delle istituzioni europee nel far rispettare le regole restano limitati», si legge nel documento, «dunque future crisi di debito pubblico non possono essere escluse». Lo scetticismo verso l’architettura del «Fiscal compact» europeo è talmente profondo che poco sotto il testo di Feld e colleghi propone di non tenere conto del fatto che un Paese sia già soggetto — o no — a una procedura di Bruxelles sui suoi conti. La valutazione del fondo salvataggi sulla sostenibilità del debito di un governo — si legge — dev’essere «indipendente».

L’obiettivo è ridurre al minimo i trasferimenti finanziari della Germania ai Paesi fragili se e quando la prossima recessione dovesse riaprire una crisi. Di qui l’idea che il fondo salvataggi Esm, con un emendamento alle sue linee-guida possibile (in teoria) senza diritti nazionali di veto, imponga la sospensione dei rimborsi dei titoli di Stato quando un governo chiede aiuto al resto d’Europa. In seguito, l’Esm condurrà un analisi di sostenibilità del debito di quello Stato per determinare se debba esserci anche un taglio più profondo al valore nominale dei suoi titoli.

Sembra (per ora) difficilmente realizzabile la pre-condizione indicata da Feld e colleghi: come dicono loro stessi, bisognerebbe «costringere» i governi a emettere bond con clausole legali che ne rendono più facile il parziale default. È certo comunque che un meccanismo del genere non farebbe che amplificare gli effetti già visti all’opera con la direttiva sul bail-in bancario: minacciare in anticipo gli investitori di imporre loro delle perdite non fa che metterli ancora di più in fuga, accelerando anche le crisi evitabili. La minaccia di un default rischia di precipitarlo, come già successo nel 2010 a spese dell’Irlanda quando un’idea del genere fu proposta dalla cancelliera Angela Merkel nella cittadina francese di Deauville (e poi ritirata di fronte al crollo dei mercati). Ma l’obiettivo del documento di oggi non è stabilizzare l’area euro: è ridurre al minimo i fondi che la Germania rischia di dover trasferire per salvare altri Paesi in futuro. Quali, è chiaro nel testo quando si parla di un «caso speciale». Si legge: «Grandi economie avanzate come l’Italia sono probabilmente troppo grandi per essere salvate in ogni caso».

 

24 agosto 2016 (modifica il 24 agosto 2016 | 21:17)

(Il Corriere deella Sera)