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Un'importante sentenza della Cassazione sui poteri del curatore Tutti revocabili i pagamenti alla banca prima del Fallimento

Saranno revocabili tutti i pagamenti effettuati dal cliente alla Banca qualora riducano in modo “consistente” e “durevole” l’esposizione debitoria del correntista, e ciò ormai a prescindere dal fatto che abbiano natura solutoria o ripristinatoria.

 

di Alessandro Pellegrino e Dario Scarantino

 

Tutti revocabili dal curatore i pagamenti fatti dal cliente alla banca prima del fallimento. Cade la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie. Così la Cassazione, sez. I, con la sentenza n. 277 del 9 gennaio 2019.

 

La Suprema corte affronta per la prima volta, il tema relativo alla opportunità di considerare ancora attuale la tradizionale distinzione tra rimesse bancarie solutorie e ripristinatorie. La pronuncia nasce dal ricorso promosso da una banca avverso una sentenza della Corte d'appello dell'Aquila, la quale confermava l'accoglimento dell'azione revocatoria proposta dal curatore fallimentare per la restituzione di una rimessa effettuata da una società in bonis sul proprio conto corrente prima della dichiarazione di fallimento. La banca proponeva ricorso sostenendo l'errore dei giudici di merito nel non valutare la natura della rimessa effettuata dal fallito alla luce del disposto dell'art. 67 lett. b) della legge fallimentare.

 

Effettivamente, la precedente impostazione consolidatasi nella giurisprudenza della Suprema corte, riteneva revocabili soltanto le rimesse cosiddette solutorie (relative a conti correnti scoperti non assistiti da apertura di credito), escludendo, invece, la possibilità di revocare le rimesse ripristinatorie (riguardati conti passivi e valevoli a ripianare una esposizione debitoria del cliente). Queste ultime venivano infatti considerate una mera operazione contabile consistente in un accredito sul conto per la reintegrazione delle somme poste dalla banca a disposizione del correntista, e, in quanto tali, non soggette a revocatoria fallimentare

 

L'orientamento espresso adesso, con il quale la Corte si inserisce in un solco per vero già tracciato dalla più attenta dottrina, si basa effettivamente su una interpretazione più aderente alla volontà del legislatore della riforma fallimentare del 2005.

 

Con la riforma del fallimento, infatti, come ben evidenziano gli Ermellini, si è voluto escludere dalla disciplina della revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie qualsiasi riferimento ai pagamenti liquidi ed esigibili, su cui si basa invece la distinzione tra i due tipi di rimesse, ancorando la possibilità di agire in revocatoria ai criteri di «consistenza» e «durevolezza» del pagamento. In tal modo, appaiono superati i problemi applicativi ed i conseguenti effetti distorsivi cui portava la tradizionale distinzione tra la diversa natura delle rimesse.

 

L'arresto giurisprudenziale, continua la Corte, si fonda altresì su una evidente scelta testuale del legislatore il quale, alla lett. g) dello stesso articolo 67 (relativo alla revocatoria dei versamenti di corrispettivi per le prestazioni di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali) indica espressamente che i pagamenti revocabili debbono possedere i requisiti di «liquidità» ed «esigibilità», gli stessi sui quali si fonda la distinzione giurisprudenziale tra rimesse solutorie e liquidatorie.

 

Qualora il legislatore avesse ritenuto necessaria la presenza di detti requisiti anche per le rimesse bancarie, a parere della Corte, li avrebbe, anche qui, espressamente richiesti. L'interpretazione innovativa della Suprema corte, nel semplificare la disciplina della revocatoria, conduce al risultato che saranno revocabili tutti i pagamenti effettuati dal cliente alla Banca qualora riducano in modo «consistente» e «durevole» l'esposizione debitoria del correntista, e ciò ormai a prescindere dal fatto che abbiano natura solutoria o ripristinatoria.

 

09/02/2019

(Italia Oggi)