News

Così la grande distribuzione beffa i contadini

Non solo i pastori sardi. I dati di Coldiretti: per ogni euro di spesa solo 22 centesimi finiscono ai produttori

Pubblicato il 21/02/2019

Ultima modifica il 21/02/2019 alle ore 15:01

nicola pinna

torino

In un supermercato del centro di Torino, ieri mattina, un chilo di clementine calabresi, di quelle con la foglia ma senza semi, costava 1,70 euro. Al contadino che le ha prima coltivate e poi raccolte sono rimasti in tasca 15 centesimi. Meno di un decimo, perché i meccanismi del mercato hanno finito per assegnare alla catena della commercializzazione la percentuale maggiore sulla vendita dei prodotti che ogni giorno finiscono sulle nostre tavole. Sono le regole della grande distribuzione: prezzi alti per i consumatori e solo briciole per i produttori. La lotta dei pastori sardi che ha portato alla ribalta il dramma delle piccole aziende è ugualmente legata a questo genere di dinamiche. La vendita del pecorino non è in crisi, ma ogni litro di latte viene pagato solo 60 centesimi. Vale anche per il riso e per il grano, per i salumi e per i formaggi. Va persino peggio per chi coltiva i pomodori.

LEGGI ANCHE:

- Crolla il prezzo del grano: “Pessima annata”

- Pesche a 30 cent: “È difficile sostenere i costi”

La sproporzione è clamorosa: per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi - svela uno studio di Coldiretti - soltanto 22 centesimi finiscono nelle mani di chi ha zappato la terra e colto i suoi frutti. Il mondo delle campagne è strozzato dalle politiche del mercato globale e per questo il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, dalle colonne de La Stampa ha evocato un «Sessantotto dei contadini». Una rivoluzione dal basso che consenta agli agricoltori di sganciarsi dalle catene imposte dalla grande distribuzione e creare nuovi orizzonti di crescita. «Le soluzioni per un’agricoltura a misura d’uomo ci sono - sostiene Petrini - Il futuro è l’azienda multifunzionale, capace di coltivare prodotti differenti e crearsi al contempo attività varie, sempre legate al mondo della terra. L’altro punto è l’integrazione di fasi diverse della filiera».

Per ora la bilancia pende sempre dalla stessa parte, quella di chi aggrega i prodotti e li fa arrivare negli ipermercati di tutte le città. Il paradosso più evidente è quello che riguarda il pomodoro: la bottiglia di vetro finisce per costare più della materia prima. Lo studio di Coldiretti ha calcolato con precisione tutti i dettagli. Per acquistare 700 ml di passata si spende circa 1 euro 30 centesimi e il 53% di questa cifra finisce per essere assorbito dalle distribuzione commerciale. Il 18% se ne va con i costi di produzione industriale, il 10 con la bottiglia e soltanto l’8 finisce per remunerare il lavoro del contadino. «Questa è una grave ingiustizia da sanare - dice Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti -. È urgente rendere più equa e giusta la catena di commercializzazione degli alimenti anche con interventi che servano a limitare lo strapotere contrattuale dei nuovi poteri forti dell’agroalimentare».

Che ci siano pochi margini di trattativa lo sanno bene anche i cerealicoltori. Per mostrare la situazione basta l’esempio del pane: al market costa 2 euro e 80, ma il grano viene pagato 20 centesimi al chilo. Dal campo allo scaffale, dunque, il prezzo si moltiplica di quasi 15 volte. Nel caso del riso l’aumento è da capogiro: per un solo piatto il costo cresce del 500%. Ma a guadagnarci non è mai il contadino.

(La Stampa)