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L’accordo segreto che ha messo una pietra sopra il caso Moby Prince

Firmato due mesi dopo la collisione di Livorno tra armatori, proprietari del carico e assicuratori. Il documento trovato dallo Scico della Finanza e svelato dalla commissione d’inchiesta parlamentare. In un libro nuove rivelazioni sul sinistro di 28 anni fa

 

Pubblicato il 14/03/2019

Ultima modifica il 14/03/2019 alle ore 20:00

fabio pozzo

 

L’accordo segreto è raggiunto a Genova il 18 giugno 1991, dopo poco più di due mesi dalla collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, entrati in collisione nella rada di Livorno il 10 aprile, che causa la morte di 140 persone. Si siedono attorno al tavolo sei persone: rappresentano la Navarma (Onorato), l’armatore del traghetto; la statale Snam, che arma la petroliera; l’Agip, proprietaria del carico; gli assicuratori.

 

È un momento decisivo, questo, nella storia del caso Moby Prince perché, scrivono Francesco Sanna e Gabriele Bardazza nel libro Il caso Moby Prince. La strage impunita (Chiarelettere) in uscita domani, «è la traduzione giuridica e assicurativa del mettiamoci una pietra sopra...».

 

La transazione

L’accordo, ricostruito dalla commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Moby Prince istituita dal Senato nel 2015 e il cui documento è stato trovato dallo Scico della Finanza, vale circa 70 miliardi di lire. Che cosa si conviene a Genova? Navarma (e i suoi assicuratori) devono risarcire i familiari dei passeggeri e membri d’equipaggio, Snam pagare i danni ambientali, nessuna delle parti può fare causa all’altra e insieme si obbligano a stare insieme in giudizio qualora le famiglie delle vittime avessero citato una di esse. Il risarcimento ai familiari prevede che questi ultimi rinuncino a qualsiasi azione legale. Lo sottoscriveranno quasi tutti gli eredi delle 140 vittime del traghetto, ma non nella totalità (c’è chi ha più parenti), il che lascia uno spiraglio per la costituzione di parte civile che porterà avanti i processi.

 

L’accordo sancisce anche una verità, che attribuisce la colpa al comando del traghetto (morti tutti). In sintesi: il ferry in uscita dal porto di Livorno e diretto ad Olbia sperona la petroliera, alla fonda. Perché? Non la vede a causa della nebbia. «Una verità che traccia un solco, certificata dalla magistratura nei successivi procedimenti penali», sostengono Sanna e Bardazza. Questa verità regge per 27 anni, finché non arriva la relazione finale dei lavori della commissione d’inchiesta parlamentare, che prende il via da un documento delle due associazioni dei familiari delle vittime.

 

La dinamica

Bardazza e Sanna mettono a fuoco nel libro i risultati dell’inchiesta parlamentare arricchiti da nuovi studi, rivelazioni, testimonianze. La dinamica della collisione, ad esempio. «La nebbia non ha sicuramente causato l’incidente e probabilmente non c’era: chi l’ha vista, l’ha scorta dopo la collisione, e spesso l’ha confusa col fumo dell’incendio. La petroliera era ferma in una zona vietata all’ancoraggio, disposta con la prua verso il largo, sud-ovest. Potrebbe avere avuto un guasto ed essere stata in black-out e quel guasto potrebbe aver generato una dispersione di vapore acqueo simile a nebbia, una nuvola biancastra come quella raccontata da molti testimoni. L’esatta dinamica dell’incidente resta un mistero, ma l’ipotesi più plausibile è che il traghetto davanti a quella situazione anomala passi a poppa della petroliera e poi viri a dritta per riprendere la rotta. Nel rientro il timone resta in bando, il ferry compie una sorta di inversione e va a speronare la petroliera sul lato opposto, il destro».

 

La virata è provata, il motivo no. Un altro ostacolo che spunta d’improvviso?Si è parlato di bettoline, di operazioni di carico e di scarico d’armi o di greggio (o nafta?). E anche di un’esplosione a prua della Moby Prince, che danneggia le tubolature della timoneria, mandandola in tilt. «Ci sono tracce dell’esplosione. È da capire se è avvenuta dopo la collisione, a causa del gas, oppure prima, con un esplosivo a bassa potenzialità, ipotesi non esclusa dai consulenti», spiegano ancora Sanna e Bardazza. «Per ottenere la verità su questo passaggio importante è sufficiente un’analisi di residui ancora agli atti, non realizzata inspiegabilmente dalla commissione d’inchiesta. Sarebbe un ulteriore tassello della verità anche se è chiaro che non sapremo mai esattamente come è andata quella notte, se qualcuno non parla».

 

I soccorsi

In mare una collisione, ancorché complessa da ricostruire, può verificarsi. L’incredibile è che quei poveretti del traghetto non siano stati soccorsi. Se infatti l’equipaggio dell’Agip Abruzzo è tratto in salvo dopo un’ora e 20 minuti dalla collisione, i mezzi della Capitaneria di porto di Livorno scovano in modo fortuito il traghetto - che nel frattempo si è allontanato dalla petroliera, motori indietro - 80 minuti dopo l’incidente e non prestano alcun soccorso a chi vi era rimasto sopra.

 

Perché la Moby Prince diventa prima una nave fantasma e poi, quando trovata, nessuno soccorre le persone a bordo? «La Capitaneria ha sempre dichiarato di non aver udito il mayday lanciato dalla Moby Prince e di essere stata attirata dalla chiamata in soccorso dell’Agip Abruzzo, che non segnala il coinvolgimento di un traghetto nell’incidente. Ma il punto è che il comandante della Capitaneria ha evitato ogni soccorso alla Moby Prince perché, così ha dichiarato alla commissione d’inchiesta, la logica gli ha suggerito che a bordo erano già tutti morti. Così ha concentrato l’operazione di soccorso sulla petroliera, perché se fosse esplosa sarebbe stato un disastro...».

 

L’omissione di soccorso verrà poi meno, in sede processuale, perché si riterrà valida questa tesi della morte rapida, sostenuta da una perizia medico legale. Perizia che sarà poi smontata dai consulenti della commissione d’inchiesta. «Non sono morti tutti in mezz’ora - dice Sanna-. Il mozzo Alessio Bertrand, si è salvato ed era vivo un’ora e venti minuti dopo la collisione. E stando alla consulenza medico legale disposta dalla commissione d’inchiesta anche altre persone sopravvissero per ore: tra queste il passeggero Gerhard Baldauf e il marittimo Giovanni Abbattista, rifugiatisi in sala macchine, o il cameriere Antonio Rodi, il cui corpo integro è stato sorvolato da un elicottero dei carabinieri 9 ore dopo la collisione...».

 

Le nuove indagini

La procura di Livorno ha annunciato l’apertura di una nuova inchiesta. «Potrebbero ripartire dall’esplosione a prua. Probabilmente si andrà a un’altra archiviazione, ma i nuovi magistrati potrebbero riscrivere la verità storica di questo caso. Sarebbe un riscatto».

 

SCHEDA

Il 10 aprile 1991 alle 22,25 in rada a Livorno il traghetto Moby Prince della Navarma (famiglia Onorato) sperona la petroliera Agip Abruzzo della società statale Snam, ferma all’ancora. Le due navi s’incendiano. Un’ora e 20 minuti dopo l’equipaggio della petroliera è tratto in salvo, mentre tutte le 140 persone rimaste a bordo del ferry moriranno. Si salva solo il mozzo Alessio Bertrand, che si getta in acqua da poppa. Il processo di primo grado, per omicidio colposo plurimo, 4 imputati, si risolve con l’assoluzione perchè il fatto non sussiste. In appello, è non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

 

IL LIBRO

Il caso Moby Prince. La strage impunita”, il libro che esce domani per Chiarelettere (192 pp.; 16 €) è scritto da Francesco Sanna, ideatore della campagna #iosono141, e Gabriele Bardazza, dello studio di ingegneria forense Bardazza-Adinolfi.

 

(La Stampa)