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Crescono i fondi pensione, ma nel 2018 un iscritto su quattro non ha versato i contributi

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La crisi provoca la messa in mora di due milioni di persone. Flessione nei rendimenti a causa di spread e mercati: -2,5% per i negoziali, -4,5% per quelli aperti, -6,5% per i Pip

 

Pubblicato il 12/06/2019

Ultima modifica il 12/06/2019 alle ore 16:57

PAOLO RUSSO

ROMA

 

I fondi pensione crescono, almeno in dimensione, che in previdenza fa rima con solidità. Ma la crisi mette in mora due milioni di iscritti, uno su quattro, che nel 2018 non sono riusciti a versare i contributi. Sono i dati salienti del Rapporto annuale della Covip, la commissione che vigila sulla previdenza complementare, che lo scorso anno, colpa lo spread e il deludente andamento dei mercati, ha fatto segnare anche una flessione dei rendimenti. Nello specifico una perdita rispettivamente del 2,5 e del 4,5% per quelli “negoziali” ed “aperti”, mentre i nuovi Piani individuali pensionistici, i cosiddetti Pip di ramo III (quelli assicurativi a loro volta collegati al rendimento di altri fondi interni) hanno accusato una flessione del 6,5%. Nello stesso periodo il Tfr si rivalutava al netto delle tasse dell’1,9%. Numeri che non devono però indurre in facili conclusioni perché i rendimenti si giudicano su spazi temporali ben più ampi e nell’ultimo decennio la resa dei fondi aperti è stata del 4,1%, mentre quelli negoziali hanno segnato un più 3,7% e i diversi tipi di Pip hanno reso il 4%.

 

I dati illustrati alla Camera dal presidente della Covip, Mario Padula, dicono poi che lo spezzatino di gestioni nella previdenza integrativa va riducendosi, tanto che a fine 2018 si contavano in tutto 398 fondi pensione contro i 719 che operavano a inizio millennio. Nel frattempo sono continuati a crescere gli iscritti, che lo scorso anno sono arrivati ad essere 7,9 milioni, il 4,9% in più dell’anno precedente, anche se in 12 mesi sono aumentati di 200mila unità anche quelli che non ce la fanno a stare al passo con i versamenti. Tanto da spingere la Covip a lanciare la proposta di poter incassare successivamente i benefici fiscali sulla contribuzione che non si sono potuti utilizzare in fase di incapienza, ossia di reddito così modesto da essere già esentasse.

 

Differenze territoriali, di genere e d’età

Se i dati generali sono comunque buoni resta il problema dei gap territoriali, di genere e generazionali. Le donne sono infatti poco più del 38% degli iscritti, la cui maggioranza, il 56,8%, risiede al Nord, mentre gli under 35, quelli che avranno più necessità di attaccarsi alla ciambella di salvataggio del secondo pilastro, sono di un terzo inferiori ai lavoratori più maturi.

 

In aumento del 3% anche le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari, che si attestano a 167 miliardi di euro, mentre i contributi incassati ammontano a 16,3 miliardi di euro (pari a un contributo di 2.630 euro ad iscritto), contro gli 8,6 miliardi di valore delle voci in uscita. Anche se poi i costi variano sensibilmente da una forma all’altra della previdenza integrativa, con i Pip decisamente più costosi, visto che nel decennio la lancetta dell’indicatore sintetico dei costi ha oscillato in media sul 2,21%, contro l’1,3% dei fondi aperti e l’ancor più modesto 0,39% di quelli negoziali.

 

Le vere note dolenti arrivano però al capitolo dedicato alla casse professionali, sulle quali la Covip è chiamata a vigilare dal 2011, se non avesse le unghie spuntate, visto che si è ancora in attesa del regolamento attuativo previsto da un decreto di ben otto anni fa. E datato, rimarca il presidente Covip, è anche il quadro normativo che dovrebbe regolamentare le Casse, che pure gestiscono un’attività che a valori di mercato vale oltre 85 miliardi di euro. Valori in netta crescita dal 2011, anche se poi si scopre che il 73% dell’attivo è appannaggio dei soli cinque enti di maggiori dimensioni. E come per i fondi pensione, anche parlando di Casse professionali «piccolo non è mai bello». Soprattutto quando gli investimenti nel sempre più volatile mercato immobiliare la fanno da padrone, con un valore pari a 19,4 miliardi, che corrispondono quasi a un quarto del totale, contro il prudenziale 2,7% dei fondi, che dal mattone si tengono sempre più alla larga.

 

(La Stampa)