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La Cassazione ferma i super-risarcimenti ai medici specializzandi

La Corte: "Giusto il solo rimborso spese, è formazione non lavoro". In causa 56 mila clinici, solo nel 2018 lo Stato aveva versato 48 milioni di euro

 

di CORRADO ZUNINO

14 agosto 2019

 

ROMA - La Corte di Cassazione mette un punto sulla vicenda dei medici specializzandi utilizzati in corsia e non retribuiti. Negli ultimi anni ci sono stati rimborsi milionari da parte dello Stato, ma adesso i giudici di ultima istanza - partendo da una vicenda riguardante 35 clinici modenesi - ha sancito che l'attività ospedaliera degli specializzandi non è "lavorativa", ma "formativa". Un precedente giurisprudenziale importante.

 

La causa giunta in terzo grado era stata avanzata dodici anni fa da trentacinque medici, oggi tutti in attività: avviarono prima una protesta al Policlinico di Modena e all'ospedale di Baggiovara. I reparti richiedevano agli specializzandi, professionisti in formazione, lavori in supplenza agli strutturati con paghe al minimo. Nel 2007 il gruppo si è rivolto al Tribunale del lavoro chiedendo quali fossero i limiti della loro attività ospedaliera: "Chiediamo la condanna al pagamento di una remunerazione diversa (e superiore) rispetto a quella percepita in base al decreto legge del 1991". Dopo una prima sentenza favorevole, nel 2016 il Tribunale di Bologna, in Appello, ha bocciato le richieste. Di qui il ricorso in Cassazione contro Stato, Regione e l'Università di Modena e Reggio, datore di lavoro.

 

I trentacinque medici hanno contestato che il pagamento delle prestazioni pubbliche avvenisse attraverso la forma del rimborso spese "quando l'attività richiesta era la stessa dei medici inquadrati a tempo pieno nel Servizio sanitario nazionale". E l'assegno non conosceva aumenti annuali basati sul costo della vita. La Corte suprema ha rigettato il ricorso, confermando il giudizio in appello: lo specializzando, hanno scritto i giudici, non svolge un'attività subordinata e non è inquadrabile neanche come lavoratore autonomo, "ma costituisce una particolare ipotesi di contratto formazione-lavoro oggetto di una specifica disciplina". L'assegno dello specializzando serve solo "a sopperire alle esigenze materiali per l'impegno a tempo pieno nella formazione". Non può essere, quindi, uno stipendio per le attività svolte, "che non sono rivolte a vantaggio dell'Università, ma alla formazione teorica e pratica e al conseguimento di un titolo abilitante". Ancora: "Non esiste una differenza di trattamento tra gli specializzandi delle diverse università italiane e di quelle europee, per questo non è previsto un aumento dovuto all'indice Istat". L'aspetto economico è deciso di volta in volta dalle manovre economiche di governo.

 

L'associazione che più si è impegnata sulla questione "stipendi agli specializzandi" è stata Consulcesi che, occupandosi con la consueta aggressività degli studenti-medici in corsia tra il 1978 e il 2006, ha via via ottenuto rimborsi consistenti (ad oggi 530 milioni di euro). Solo nel 2018 lo Stato ha rimborsato 48 milioni di euro, di cui nove nel Lazio e sette in Lombardia. Queste cifre hanno premiato 1.521 medici. I clinici coinvolti in tutto il Paese sono, fin qui, 56 mila e l'associazione arriva a ipotizzare un rischio esborso pubblico pari a 10 miliardi. "Ormai lo stipendio arretrato viene riconoscuto come un diritto consolidato da parte dei tribunali italiani", ha detto Massimo Tortorella, presidente di Consulcesi, "siamo pronti a intraprendere nuove cause". Lo stop della Cassazione sul caso Modena, tuttavia, potrebbe avere ripercussioni sulle prossime sentenze dei tribunali ordinari.

 

La Cassazione a inizio 2019 aveva escluso dai rimborsi, tra l'altro, un blocco di "specializzandi da ospedale" tra il 1978 e il 1982. Questo nonostante una sentenza della Corte di Giustizia europea favorevole allo stipendio per i medici in formazione.

 

(La Repubblica)