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Decontribuzione e quota 100: due grossi fallimenti

Quota 100 avrebbe dovuto creare 2 o 3 nuovi assunti per ogni neopensionato, ma ha generato solo un’assunzione ogni tre neopensionati. La decontribuzione ha causato un tasso di sopravvivenza dei contratti agevolati soltanto del 54%

 

di Marcello Gualtieri

 

I dati diffusi nei giorni scorsi certificano il fallimento di due delle principali politiche per l'occupazione portate avanti dai governi Renzi, Gentiloni e Conte: «quota 100» e «decontribuzione». Quota 100 avrebbe dovuto creare 2 o 3 nuovi assunti per ogni neopensionato, ma l'ufficio studi dei Consulenti del lavoro ha misurato il rapporto reale in un nuovo assunto ogni tre neopensionati. Dunque, come politica per favorire l'occupazione è stata un fallimento totale, anzi controproducente; trattiamola allora per quello che è realmente: un indegno regalo per pochi, il cui costo è stato stimato da Francesco Gavazzi in 100 miliardi di maggior debito contributivo.

 

La decontribuzione. Il governo Renzi (e poi anche quello Gentiloni) hanno pensato di spingere l'occupazione a tempo indeterminato esentando i nuovi contratti dal pagamento dei contributi. Al tempo ho molto criticato questo tipo di provvedimenti, almeno per due motivi. Il primo, perchè non lasciano effetti permanenti sul mercato del lavoro (gli effetti cessano al cessare delle agevolazioni) e, difatti, il numero dei contratti a tempo indeterminato, una volta cessata l'agevolazione, è tornato quello del periodo pre-decontribuzione. Il secondo, è che il lavoro a tempo indeterminato è un residuato di un mondo passato, una modalità contrattuale destinata ad essere sempre più marginale. Le politiche per l'occupazione non devono garantire un posto a vita, ma creare le condizioni affinché quando un lavoro finisce se possa trovare rapidamente un altro.

 

Il dato complessivo sull'effetto sul mercato del lavoro della decontribuzione 2015-2018 lo conferma: il tasso di sopravvivenza dei contratti agevolati è stato del 54%, e poiché la disoccupazione nello stesso periodo non è aumentata, bisogna dedurne che il residuo 46% è costituito da cessazioni volontarie di lavoratori che hanno trovato un altro impiego, evidentemente migliore. Il giudizio finale lo ricopio dal Rapporto dell'Inps: «L'esonero contributivo non ha assicurato quella stabilità immaginaria implicita nel nome “lavoro a tempo indeterminato”»; nel frattempo la misura è già costata ai contribuenti italiani 16,7 miliardi. Due fallimenti annunciati e costosissimi.

 

16/08/2019

(Italia Oggi)