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Moody's sull'Italia: "Improbabile scenda il debito". Lo spread risale, Borse incerte

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L'agenzia di rating nel giorno della fiducia al Senato al nuovo governo: "Porterà stabilità politica" ma "manca agenda economica coerente". La crescita 2019 tagliata allo 0,2%. Istat: male la produzione industriale. Gli investitori attendisti in vista delle Banche centrali

 

di RAFFAELE RICCIARDI

10 Settembre 2019

 

MILANO - Le Borse mondiali si confermano attendiste in vista degli appuntamenti con le Banche centrali: comincia la Bce di Mario Draghi, giovedì, poi sarà la volta della Federal Reserve. Gli investitori si aspettano dall'Eurotower un nuovo giro di acquisti straordinari e tassi ancor più in negativo, con un meccanismo che difenda le banche dagli effetti sui loro bilanci di questa situazione straordinaria.

 

In Italia, resta l'agenda politica al centro del palcoscenico. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è chiamato al Senato dopo avere incassato la fiducia della Camera. L'atto, dato per scontato, è anticipato dall'agenzia di rating Moody's, che rilascia un nuovo commento sul Belpaese: non si tratta di una nuova pagella, il rating resta fermo a Baa3. L'agenzia ricorda: l'Italia ha "elevati livelli di debito pubblico, che probabilmente caleranno poco nei prossimi anni, data una crescita lenta e la mancanza di un'agenda economica coerente". Moody's sottolinea che "un settore bancario ancora debole e politiche volatili limitano il rating sull'italia, mentre l'ampia dimensione e diversificazione dell'economia sono punti di forza fondamentali del credito".

 

Tra le problematiche, Moody's segnala che "il potenziale di crescita resterà debole in assenza di riforme strutturali", che "il debito pubblico resterà alto e vulnerabile a futuri shock" e che "c'è la necessità di mantenere la fiducia degli investitori, data la grande necessità di rifinanziamento". Come fatto dalle analisi che l'hanno preceduta, Moody's apprezza il nuovo governo per la posizione meno euroscettica e per la relativa "stabilità politica" che dovrebbe garantire. Rimanda ogni discorso sulla futura traiettoria italiana alla legge di Bilancio, che dovrebbe ora "arrivare in tempo" e parte da una situazione meno grave del previsto (grazie agli incassi Iva e ai risparmi su Reddito di cittadinanza e Quota 100, congelati già a luglio). Resta comunque tutta da scrivere, probabilmente con una buona dose di flessibilità da chiedere a Bruxelles. E intanto, Moody's taglia le stime di crescita per quest'anno dal +0,4 al +0,2%, sulla scorta dei dati negativi degli ultimi mesi. In questo senso, non aiuta la produzione industriale di oggi: di nuovo in calo a luglio.

 

In questo contesto, Milano tratta debole e il Ftse Mib chiude in calo dello 0,55%. Soffre ancora Atlantia, debole per il timore di perdita delle concessioni autostradali. Vendite decise su Ferrari, la peggiore del listino principale per le prese di profitto dopo i recenti rialzi. Bene invece il comparto bancario. Migliorano sul finale, invece, le altre Borse europee: Parigi sale dello 0,08%, Francoforte termina in rialzo dello 0,35% mentre Londra aggiunge lo 0,44%. Wall Street si muove negativa: alla chiusura dei mercati Ue, il Dow Jones perde lo 0,2%, il Nasdaq lo 0,7% e lo S&P 500 cede lo 0,5%.

 

Lo spread si alza a 157 punti base, in attesa di conoscere i dettagli della Manovra di bilancio che verrà costruita dal nuovo governo. Il tasso del decennale risale sopra la soglia simbolica dell'1%.

 

In Francia, la produzione industriale ha rimbalzato a luglio salendo dello 0,3%. Il tasso di disoccupazione in Gran Bretagna, nonostante il caso per Brexit, scende al 3,8% a luglio, il livello più basso dal 1974. L'euro chiude poco mosso sotto quota 1,11 dollari. La moneta unica passa di mano a 1,1048 dollari, poco sopra i livelli dell'apertura, e a 118,49 yen. Dollaro/yen stabile a 107,25. Sempre in rialzo la sterlina a 1,2364 dollari, dopo che ieri ha toccato i massimi da 6 settimane (a 1,2385 dollari) per l'attenuarsi della minaccia di un no deal sulla Brexit.

 

Questa mattina le azioni asiatiche si sono mosse poco, con Tokyo che è riuscita comunque a spuntare una chiusura positiva: +0,35% per l'indice Nikkei, spinto da uno yen debole sul dollaro che favorisce le aziende esportatrici del Sol levante. L'inflazione in Cina è aumentata del 2,8% su base annua nel mese di agosto (lo stesso valore del mese precedente) rimanendo così al suo livello più alto dal febbraio 2018. Su base congiunturale la variazione è stata pari al +0,7%, in accelerazione rispetto al +0,4% di luglio. Sempre Pechino ha deciso di eliminare le

restrizioni previste per gli investitori esteri sul mercato dei capitali.

 

Il prezzo del petrolio è in rialzo a New York, scambiato a 58,5 dollari al barile (+1,4%). In Arabia Saudita, il neo ministro dell'Energia (per la prima volta un membro della famiglia reale, figlio di re Salman) spingerà per accelerare la quotazione di Saudi Aramco e per continuare nella politica di tagli alla produzione per far salire il greggio. Lieve calo per il prezzo dell'oro che scambia a 1.496 dollari l'oncia, con un ribasso dello 0,15%. Da inizio anno il metallo è salito del 16% a seguito della decisione delle principali banche centrali di riavviarsi su un sentiero di politica monetaria accomodante, provocando così il ribasso di dollaro ed euro. L'oro è comunque ancora lontano dai livelli attorno ai 1900 dollari toccati nel 2011.

 

(La Repubblica)