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Quote latte, torna l’incubo multe: all’appello mancano 1,3 miliardi

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L’Italia rischia una nuova procedura per il mancato recupero delle sanzioni e l’assenza di un meccanismo per restituire quanto è dovuto a chi ha pagato di più

 

emanuele bonini 11 Settembre 2019

 

BRUXELLES. L’Italia rischia una nuova procedura per le quote latte, stavolta per i meccanismi di rimborso. Sul Paese già pende un causa all’attenzione dei giudici di Lussemburgo per il mancato recupero a livello locale di 1,3 miliardi di euro nei confronti di chi doveva pagare le multe per eccesso di produzione, e ora emerge che l’Italia non è stata neppure in grado di trovare un sistema di restituzione a quanti è stato chiesto di pagare più del dovuto.

 

Storia vecchia, problema nuovo

Il nuovo problema è stato portato alla luce da un ricorso presentato in Italia, e che si annuncia il primo di una lunga serie a venire. L’Italia ha rivisto a proprio piacimento le disposizioni del regolamento sulle quote latte del 1992. La normativa stabiliva la figura del «primo acquirente» nell’azienda che comprava il latte direttamente dai produttori per trattarlo o trasformarlo, ovvero per cederlo ad altre aziende. Tempi al passato, perché la il regime delle quote latte è terminato il 31 marzo 2015. Ma qualcosa non ha funzionato nella campagna lattiero-casearia 2003-2004.

 

C'è un problema di esclusioni e discriminazioni. Le leggi nazionali hanno creato categorie non previste dalle normative comunitarie nel sistema di rimborsi. Di conseguenza, qualcuno si è visto restituire denaro, qualcun altro no.

 

Le normative nazionali hanno stabilito che il «primo acquirente» dovesse applicare una trattenuta sul prezzo del latte, da versare poi allo Stato. L’azienda si sostituiva di fatto allo Stato nella riscossione delle multe. In virtù di questo è stato riconosciuto uno status privilegiato al primo acquirente. In caso di incassi eccessivi, la priorità di rimborso è stata riconosciuta a quanti hanno applicato la trattenuta sul prezzo, escludendo quanti hanno versato attrraverso pagamenti diretti. Procedure tutte italiane che hanno violato il regolamento del 2001 in materia.

 

Ricorsi in Italia e rischio procedure in Europa

La situazione è complicata, come riconosciuto anche da Lussemburgo. E’ complicata da un punto di vista giuridico, ma lo sarà ancora di più da un punto di vista pratico. Perché l’Italia dovrà adesso ricalcolare tutto quanto, e inserire nei beneficiari anche quanti non hanno rimborsato tramite trattenuta sul prezzo del latte. La platea dei beneficiari di rimborsi aumenterà, chi ha già avuto pagamenti si ritroverà probabilmente ad aver diritto a cifre minori. Questo vuol dire restituzione. O recuperi da parte dello Stato. Senza contare che dal 2003 a oggi alcune aziende possono essere fallite, o cedute, o cambiate in ragione sociale e denominazione. A Lussemburgo temono un ingolfamento dei tribunali. Pioggia di cause e ricorsi, che rischia di bloccare tutto.

 

Le autorità italiane dovranno fare in fretta. Di fronte a questa sentenza pre-giudiziale si accendono immediatamente i riflettori della Commissione europea sul Paese. Vuol dire che Bruxelles monitorerà e in assenza di progressi significativi si rischia l’apertura di una nuova procedura di infrazione. Ancora una volta.

 

Il rischio multe dietro l’angolo

A carico dell’Italia pende un causa sempre sulla quote latte per il non corretto pagamento della penalità per l’eccesso di produzione tra il 1995 e il 2009. La Commissione critica il mancato recupero di 1,3 miliardi di euro, cifra che le autorità nazionali hanno pagato all’Ue, ma senza procedere al successivo recupero a livello locale. In parole povere l’Italia ha fatto pagare tutti gli italiani invece dei singoli responsabili degli sforamenti. Un’interpretazione confermata dai giudici di Lussemburgo. A gennaio 2018 è stato riconosciuto che nel Paese è mancato, per le quote latte, un sistema che assicurasse la riscossione. Adesso emerge che è mancato anche un sistema che garantisse il rimborso. Un pasticcio che si somma a un altro pasticcio, e che rischia di costare sempre più caro.

 

(La Stampa)