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La Pa deve pagare le quote di iscrizione agli ordini dei professionisti

Una sentenza del tribunale di Pordenone interviene sui costi di iscrizione

Nel caso in cui il lavoratore autonomo sia dipendente (autonomo o dipendente?) pubblico e lo stesso abbia un vincolo di esclusività, l’ente dovrà provvedere al versamento della quota di iscrizione.

 

di Michele Damiani

 

La Pubblica amministrazione deve pagare le quote di iscrizione agli ordini dei professionisti. Nel caso in cui il lavoratore autonomo sia dipendente pubblico e lo stesso abbia un vincolo di esclusività, l'ente dovrà provvedere al versamento della quota di iscrizione. E' la conclusione a cui è giunto il tribunale di Pordenone nella sentenza n. 116/2019 pubblicata lo scorso 6 settembre. Il tribunale ha accolto il ricorso presentato da 214 infermieri, ma la valutazione è estendibile a tutti i liberi professionisti. Infatti, la decisione presa dal giudice riprende una sentenza della Corte di cassazione (sentenza 7776/2015) che trattava il caso di avvocati dipendenti della Pa. Il tribunale, innanzitutto, ha ricordato come l'iscrizione all'albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti ed è subordinata al conseguimento del titolo unversitario abilitante. Il pagamento della quota di iscrizione, tuttavia, non deve ricadere sulle spalle del professionista se questo lavora per un ente pubblico. Nel stabilire questo concetto, il tribunale riporta l'inciso della sentenza della Cassazione n. 7776 secondo cui: «quando sussiste il vincolo di esclusività, l'iscrizione all'albo è funzionale allo svolgimento di un'attività professionale svolta nell'ambito di una prestazione di lavoro dipendente, pertanto la relativa tassa rientra tra i costi per lo svolgimento di dette attività che dovrebbero, in via normale, gravare sull'ente che beneficia in via esclusiva dei risultati di detta attività». L'infermiere dipendente di azienda pubblica, secondo il tribunale, riveste una posizione del tutto analoga a quella dell'avvocato al servizio di un ente pubblico, in quanto «tenuto a prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze della Pa con obbligo di esclusività nei confronti di quest'ultima non potendo esercitare in altri contesti libero professionali». Inoltre: «non vi è motivo di ritenere una qualche supremazia della professione forense rispetto alle altre che legittimi una diversità di trattamento. Nella richiamata sentenza della Suprema Corte si afferma un principio generale valido per tutti i professionisti dipendenti e non certo solo per i legali». Il principio ricordato dal tribunale fa riferimento al fatto che nel lavoro dipendente si riscontra l'assunzione a compiere un'attività per conto e nell'interesse altrui, pertanto la soluzione di far cadere la quota in capo all'ente risponde ad un principio generale secondo cui il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario da ogni diminuzione patrimoniale che lo stesso abbia subito in conseguenza dell'incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari. Visto che l'infermiere dipendente pubblico svolge la professione per incarico di un'azienda sanitaria, la stessa è obbligata a tenerlo indenne da ogni spesa necessaria all'espletamento dell'incarico professionale assunto come dipendente. Quindi, «sicché ogni qualvolta venga esercitata da quest'ultima attività professionale in regime di esclusività, va riconosciuto in via generale il dovere giuridico del soggetto datoriale di rimborsare al lavoratore i costi per l'esercizio dell'attività, fra cui quello dell'iscrizione all'albo».

 

14/09/2019

(Italia Oggi)