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I dazi Usa potrebbero favorire l’export di vino italiano

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Veronafiere: ad oggi la crescita è del 3%, sotto la media dei concorrenti mentre la Francia è al 14. Le nuove tariffe potrebbero cambiare le carte ma liquori e cordiali rischiano di perdere il 35% del valore

 

maurizio tropeano

Pubblicato il

09 Ottobre 2019

Ultima modifica

09 Ottobre 2019 19:10

 

I dazi imposti dall’amministrazione Trump sull’agroalimentare europeo potrebbero favorire la remuntada del vino italiano negli Stati Uniti. Nella black list americana, infatti, è finito il vino francese ma non le bottiglie di rossi e bianchi made in Italy e questo potrebbe favorirci perché, «fino ad oggi le nostre esportazioni in Usa pur in crescita, non sono certo state un successo perché abbiamo realizzato performance sotto la media e molto lontani da quelle d’oltralpe», spiega Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere presentando alcune novità di Vinitaly 2020. L’Osservatorio curato con Nomisma ha appena aggiornato il report e i risultati richiedono l’elaborazione di una strategia nazionale per l’export. «Anche nel mercato statunitense - prosegue Mantovani - la crescita a valore è arrivata al più 3%, contro una media delle importazioni vicina all’otto per cento e con la Francia che cresce quasi di cinque volte il dato italiano facendo registrare un + 14%». Mantovani guarda al futuro perché «i dazi potranno cambiare le carte in tavola, ma il report di mercato dice che ad oggi quella italiana è la crescita minore tra i top 6 fornitori, e dice anche che oltre al solito aumento in doppia cifra dello sparkling, (le bollicine, ndr.) con +10,6%, i nostri fermi imbottigliati negli Usa non vanno oltre un incremento dell’1,2%».

 

In questo scenario Veronafiere, si sta attrezzando e punta, come ha spiegato il presidente, Maurizio Danese, al mercato dell’Asia con l’avvio del nuovo salone realizzato in partnership con il socio cinese Pacco Communication Group, nella nuova area fieristica di Shenzen con 400 espositori su una superficie di 40 mila metri quadrati. Ma i produttori presenti ieri all’anteprima milanese hanno chiesto con forza l’elaborazione di una strategia a livello di governo.

 

Ma se il mondo del vino, almeno nel breve periodo, può cercare di sfruttare l’effetto positivo dei dazi quello degli «spiriti» invece rischia di mettere in ginocchio un centinaio di aziende, soprattutto di piccole e medie dimensioni, e alcune migliaia di posti di lavoro. Il motivo? «I dazi comporteranno una perdita secca di valore export pari ad almeno il 35%», denuncia Federvini. Gli Usa, infatti, rappresentano il secondo mercato, dopo la Germania e l’imposizione di una tariffa aggiuntiva del 25% andrà ad interessare un valore di quasi 163 milioni di dollari, con una incidenza per singola bottiglia pari, secondo le prime stime, a circa 2/2,5 dollari che potrebbero tranquillamente raddoppiare considerando i vari passaggi da importatore a distributore e venditore.

 

(La Stampa)