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Per le spese di riscaldamento contano le termo valvole

Se in condominio è stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, i costi vanno ripartiti in base al consumo effettivamente registrato e non al valore millesimale delle singole unità immobiliari. Lo ha chiarito la Cassazione

Pagine a cura di Gianfranco Di Rago

Le spese del riscaldamento centralizzato, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, devono essere ripartite in base al consumo effettivamente registrato. È pertanto illegittima la deliberazione assembleare che suddivida una parte dei consumi sulla base del valore millesimale delle singole unità immobiliari. Né in questi casi si può fare applicazione di eventuali diversi criteri di riparto previsti da una delibera di giunta regionale, sebbene la stessa si richiami a norme tecniche Uni, trattandosi di atto amministrativo inidoneo a incidere sul rapporto civilistico tra condominio e singoli condomini. Questi gli importanti chiarimenti contenuti nella recente sentenza n. 28282 pronunciata dalla seconda sezione civile della Corte di cassazione e pubblicata lo scorso 4 novembre 2019.

Il caso concreto. Nella specie un condomino aveva portato il proprio condominio dinanzi al tribunale per ottenere la declaratoria di nullità della delibera assembleare con la quale era stato deciso di ripartire le spese di riscaldamento per metà in base al consumo conteggiato e per metà in base alla tabella millesimale. Secondo il condomino, che aveva evidenziato come il condominio si fosse dotato di un sistema di contabilizzazione autonomo del calore per le singole unità immobiliari, detta ripartizione contrastava con una delibera della giunta regionale della Lombardia, nonché con la disciplina di attuazione contenuta in una norma tecnica Uni (Ente nazionale italiano di unificazione) richiamata dalla medesima giunta regionale. Sempre a parere del predetto condomino, la quota da suddividere per millesimi avrebbe dovuto riguardare unicamente la spesa generale di manutenzione dell'impianto e la quota di combustibile non direttamente imputabile alla propria unità immobiliare, perché legata alla dispersione termica. Il tribunale aveva però rigettato l'impugnazione della delibera e la relativa decisione era stata confermata anche in secondo grado. Di qui il ricorso dinanzi alla Suprema corte.

Il quadro normativo statale e quello regionale in materia di riscaldamento. Al caso in questione, come evidenziato dalla Cassazione, risulta applicabile la normativa condominiale ante riforma. Tuttavia, in tema di riscaldamento centralizzato, già l'art. 26, comma 5, della legge n. 10/91 stabiliva la disciplina di approvazione delle innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore, prescrivendo il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato. La contabilizzazione dei consumi di calore di ciascuna unità immobiliare e la suddivisione delle spese in base ai consumi effettivi sono state poi previste come obbligatorie dall'art. 9, comma 5, del dlgs n. 102/2014, successivamente modificato dal dlgs n. 141/2016 e dal dl n. 244/2016. Il dlgs n. 192/2005, emanato in attuazione della direttiva n. 2002/91/Ce relativa al rendimento energetico nell'edilizia, conteneva peraltro una cosiddetta clausola di cedevolezza, stabilendo che, in relazione a quanto disposto dall'art. 117, 5° comma, della Costituzione, le norme del medesimo decreto trovassero applicazione per le sole regioni e province autonome che non avessero ancora provveduto al recepimento della predetta direttiva 2002/91/Ce.

La Suprema corte ha tuttavia evidenziato come nel dettare la normativa di attuazione le regioni e le province autonome siano comunque tenute al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal citato decreto legislativo e dalla stessa direttiva comunitaria. È stato inoltre evidenziato come la Corte costituzionale abbia più volte affermato che, nelle materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, la regolamentazione statale ponga un limite diretto a evitare che la norma regionale incida su un principio di ordinamento civile. In particolare, tale normativa non può incidere direttamente sul rapporto civilistico tra condomini e condominio, regolamentando i criteri di riparto degli oneri di contribuzione alla conservazione delle parti comuni o alla prestazione dei servizi nell'interesse comune in maniera da modificare la portata dei diritti e la misura degli obblighi spettanti ai singoli comproprietari come fissate dalla legge statale o da convenzione negoziale.

Tanto meno, ha osservato la Suprema corte, potrà incidere sui criteri di ripartizione degli oneri di riscaldamento una delibera della giunta regionale, che va qualificata formalmente e sostanzialmente come semplice atto amministrativo. Né assume valore cogente la norma Uni 10200, richiamata nella specie dalla delibera della giunta regionale lombarda invocata dal condomino impugnante, trattandosi di specifiche tecniche a base unicamente volontaria, ed essendo comunque necessaria, nel regime condominiale, l'approvazione unanime di tutti i condomini di criteri di ripartizione delle spese che deroghino a quelli stabiliti dalla legge. Le norme tecniche Uni, quindi, rappresentano soltanto un riferimento tecnico-operativo ma non hanno alcuna efficacia cogente, in quanto il rispetto delle medesime si basa sulla volontà degli utenti.

Il criterio di riparto delle spese di riscaldamento. Chiarito quanto sopra in merito alla non applicabilità del contenuto della delibera di giunta regionale e delle norme tecniche Uni, la Suprema corte ha comunque accolto il ricorso del condomino e cassato la sentenza impugnata, evidenziando come la delibera impugnata fosse da considerarsi comunque nulla per violazione di legge sulla base delle seguenti considerazioni.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti avuto modo di chiarire a più riprese come le spese del riscaldamento centralizzato possano essere validamente ripartite in base al valore millesimale delle singole unità immobiliari soltanto ove manchino sistemi di misurazione del calore erogato in favore di ciascuna di esse che ne consentano il riparto in proporzione all'uso. Il criterio legale di ripartizione delle spese di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato risale infatti, come detto, già all'art. 26, comma 5, della legge n. 10/91. Detto criterio, inoltre, costituisce applicazione concreta del principio generale di riparto delle spese condominiali previsto dall'art. 1123, comma 2, c.c., in base al quale, qualora si tratti di beni o servizi destinati a servire i condomini in misura diversa, le relative spese sono ripartire in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

L'adozione dei sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore, hanno spiegato i giudici di legittimità, è infatti funzionale a collegare il vantaggio economico del risparmio energetico, conseguente alla minor richiesta di calore, esclusivamente al patrimonio del condomino che decida di prelevare minore energia. Di qui il principio di diritto enunciato dalla Suprema corte, per cui le spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, devono essere ripartite in base al consumo effettivamente registrato, risultando perciò illegittima una suddivisione di tali oneri operata, sebbene in parte, alla stregua dei valori millesimali delle singole unità immobiliari, non potendo a tal fine rilevare i diversi criteri di riparto dettati da una delibera di giunta regionale, che pur richiami specifiche tecniche a base volontaria, in quanto atto amministrativo comunque inidoneo a incidere sul rapporto civilistico tra condomini e condominio.



18/11/2019

(Italia Oggi)