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Lavoratori autonomi: Italia da record, ma la scelta di "mettersi in proprio" ha sempre meno seguaci

Sono oltre 5 milioni i lavoratori indipendenti: picco nel Vecchio continente. Negli ultimi dieci anni, però, la pattuglia si è molto assottigliata. Più istruiti dei colleghi europei e in molti casi nei posti di comando della piramide del lavoro. Ma quasi tre su dieci preferirebbero un lavoro stabile

 

a cura di RAFFAELE RICCIARDI

19 novembre 2019

 

MILANO - Un esercito da primato in Europa, che però sta perdendo rapidamente fascino e forze. In nessun altro Paese (Grecia a parte, ma si parla di valori assoluti neanche lontanamente paragonabili) come in Italia ci sono tanti lavoratori autonomi: sono oltre 5 milioni, il 21,7 per cento della nostra occupazione complessiva. Eppure nell'ultimo decennio questa pattuglia si è contratta in maniera significativa: -5,19% è il saldo tra il 2009 e il 2018, a fronte di una crescita nell'ordine dei cinque punti percentuali del lavoro dipendente nelle sue diverse forme.

 

Una dinamica, che a dire il vero ha riguardato tutta l'Europa con rare eccezioni (Paesi Bassi, Francia e Regno Unito), che secondo l'analisi della Fondazione studi consulenti del lavoro "sembra destinata ad accentuarsi in prospettiva". Dicono gli esperti: "Sebbene l'Italia conservi anche tra i giovani la più alta incidenza di lavoro autonomo sul totale degli occupati (dopo la Grecia) si osserva però nell'ultimo decennio un calo più accentuato della propensione a "mettersi in proprio"".

 

In pratica, nell'ultimo decennio - "complici la riduzione demografica della popolazione giovanile ma anche e soprattutto le maggiori difficoltà occupazionali di accesso al mercato" - i giovani autonomi sono risultati in calo (-31,9%) più di quanto sia accaduto in generale con il numero di occupati tra i 25 e 34 anni, che si è ridotto del 21,4%. Se si guarda alle motivazioni per i quali si prende la via del lavoro indipendente, per la maggioranza (39%) la scelta è dovuta al presentarsi della giusta occasione mentre per uno su quattro (24,2%) nasce dalla possibilità di proseguire un business famigliare già avviato. Minoritaria (10,4%, in linea con la media Ue) la fetta di chi è autonomo perché ha trovato chiusa la porta del lavoro dipendente.

 

Detto di queste tendenze, la ricerca permette anche di tratteggiare la figura dell'autonomo al giorno d'oggi. Si tratta di una figura che ha una propensione a lavorare in solitaria: il 72,3% di essi non ha dipendenti o collaboratori. Ma non è una scelta ponderata: meno di due su dieci di questi lavoratori individuali sono soddisfatti della situazione. Gli altri apprezzerebbero dipendenti o collaboratori, ma non hanno lavoro a sufficienza da permettersi di far carico dei costi aggiuntivi. Detto di questo problema, un'altra possibile distorsione si annida dietro un alto dato: quasi il 14% degli autonomi italiani (cifra elevata sulla media Ue) ha un solo cliente, un altro 3,1% ne ha uno "predominante". Situazioni nelle quali l'autonomia sfuma verso una dipendenza vera e propria.

 

Tra le variabili analizzate, dalla ricerca emerge come - nonostante il dilagare di professioni poco qualificate, quali ad esempio i riders - gli autonomi italiani siano mediamente più istruiti dei colleghi europei. Trasposta nella piramide del lavoro, questa caratteristica può aiutare a spiegare la presenza massiccia al vertice della piramide professionale: il 12,3% degli occupati indipendenti in Italia sono manager o titolari di aziende, il 20,4% professionisti ad alta qualificazione e il 17,1% figure tecniche. La restante parte si trova principalmente tra le figure addette alle vendite (18,3%) e piccoli artigiani e commercianti (16,7%). Eppure, non tutti gli autonomi sono soddisfatti: più di un quarto (27,7%) desidererebbe un lavoro alle dipendenze, mentre solo dieci dipendenti su cento farebbero il percorso inverso.

 

(La Repubblica)