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La Cassazione: "Il gioco delle tre campanelle non è reato"

I giudici: "Chi lo dirige non realizza alcun raggiro, ma una regolare continuità di movimenti", a meno che non metta in campo una vera e propria "attività fraudolenta"

 

di ALDO FONTANAROSA

07 Dicembre 2019

 

ROMA - Il gioco delle "tre campanelle", delle tre carte, delle tre tavolette non è reato. I giudici della Corte di Cassazione negano che questo gioco - ancora proposto nelle piazze italiane oppure nelle aree di sosta degli autogrill - rappresenti di per sé una forma di raggiro e di truffa ai danni di chi accetta di partecipare.

 

Nella loro sentenza 48159 del 2019, i giudici ribadiscono quello che la Corte di Cassazione ha già scritto in una sentenza del lontano 1985 (la numero 11666). "Chi dirige il gioco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì una regolare continuità di movimenti", sia pure con una "estrema abilità".

 

Di questa "abilità e destrezza", chi accetta di giocare è ben consapevole. Se perde come perde, peggio per lui. Certo, diverso è il caso in cui una "attività fraudolenta" viene associata "all'abilità e alla destrezza". Diverso è il caso in cui il banco lascia credere al malcapitato "pollo" di avere delle particolari abilità. Abilità che renderebbero facile la sua vincita.

 

Ma nel caso in esame i giudici della Corte di Cassazione non vedono attività fraudolente. Nè è dimostrato che il banco abbia incoraggiato il "pollo" lasciandogli intendere che avrebbe certamente vinto.

 

Per tutte queste ragioni, la Corte di Cassazione annulla la sentenza di secondo grado della Corte d'appello di Bologna che aveva condannato un uomo originario di Caivano (provincia di Napoli) e una donna di Lucca per "truffa in concorso". E questa decisione della Corte di Cassazione certo non farà piacere a Striscia la Notizia che molte volte - tra il 2009 e il 2016 - ha denunciato il gioco delle "tre campanelle".

 

Striscia la Notizia ha anche svelato il trucco del gioco. Chi tiene il banco, come prima mossa sposta la campanella che nasconde la pallina. E - mentre fa questo movimento - fa uscire la pallina che viene trasferita sotto un'altra campanella senza che il "pollo" se ne possa accorgere.

 

Tutto bene, dunque, per il signore di Caivano e per la signora di Lucca che tenevano il banco del gioco? Non proprio. Secondo il giudice di primo grado, il signore di Caivano e la signora di Lucca hanno preso il denaro dalle mani del giocatore "senza che costui avesse materialmente puntato nemmeno parte di tale somma".

 

Ed è questo atto di impossessarsi del denaro altrui che la Corte di Cassazione chiede di mettere a fuoco, in un nuovo processo. Scrive la Corte di Cassazione: "La sottrazione della cosa mobile altrui - cioè del denaro - costituisce presupposto di altra fattispecie criminosa rispetto alla truffa".

 

Della sentenza della Cassazione, ha scritto lo "Studio Cataldi".

 

(La Repubblica)