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Jobs act, con le tutele crescenti non c'è stato boom di licenziamenti

L'Osservatorio dei consulenti del lavoro: a tre anni e tre mesi dall'assunzione, risulta licenziato il 21,3% dei dipendenti assunti nel 2015 con il nuovo regime a fronte del 22,6% dei neoassunti con contratto tradizionale nel 2014

 

16 gennaio 2020

 

MILANO - E' davvero necessario reintrodurre le tutele dell'articolo 18 ridimensionate con il contratto a tutele crescenti del Jobs act? Il tema è tornato di attualità con la richiesta interna alla maggioranza di metterlo sul tavolo del tagliando di governo, al fianco della questione fiscale, previdenziale e della realizzazione degli interventi sul cuneo fiscale.

 

Uno studio prodotto dall'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro prova a dare una risposta basata sui numeri degli ultimi anni. E la sintesi estrema è che non ci sono state, dalle tutele crescenti in avanti, epurazioni di massa dalle aziende. Anzi, i contratti sottoscritti dopo la riforma delle regole sembrano esser più resilienti di quelli siglati prima: "L'equazione tutele crescenti - licenziamento agevole appare infondata", dicono chiaramente i Consulenti.

 

Per dar sostanza a questa affermazione, l'Osservatorio è andato a vedere il destino delle diverse tipologie di contratto a tre anni e tre mesi di distanza dall'inizio del rapporto: "Risulta licenziato il 21,3% dei dipendenti assunti nel 2015 con il nuovo regime a fronte del 22,6% dei neoassunti con contratto tradizionale nel 2014", la prima evidenza. Non è l'unico indizio.

 

Anche se si guarda alla "sopravvivenza" dei contratti, infatti, i numeri depongono a favore di quelli avviati dopo il Jobs act. Evidenzia ancora l'Osservatorio: "Dopo 39 mesi, 2 contratti su 3 che vedevano l'applicazione dell'articolo 18 risultavano cessati (66,6% per i contratti stipulati nel 2014 e 68,5% per i contratti stipulati negli anni 2011-2013), mentre per i contratti che applicano le nuove regole di licenziamento la quota scende al 60,7%. Pertanto, l'incidenza delle cessazioni dei contratti a tutele crescenti diminuisce di 5,9 punti percentuali rispetto ai contratti a tempo indeterminato attivati nel 2014 e di 7,8 punti rispetto alla media degli anni 2011-2013".

 

Vista alla rovescia, a tre anni e tre mesi dall'assunzione risulta dunque che il 39,3% dei contratti a tutele crescenti stipulati nel 2015 continuano a essere attivi. Se si prendono invece i contratti con l'articolo 18 stipulati nel 2014, la quota di attività - trascorso lo stesso tempo - scende al 33,4%.

Jobs act, con le tutele crescenti non c'è stato boom di licenziamenti

 

Come si ricorderà, però, insieme al Jobs act è partito anche il generoso esonero contributivo (circa 8 mila euro di sconto) per le assunzioni stabili. Una agevolazione che ha avuto un impatto determinante sull'andamento delle aperture di contratti, tanto che molti osservatori avevano ai tempi parlato di un mercato "drogato" da questi incentivi. Per sterilizzare questo effetto sulla valutazione della tenuta dei contratti, l'Osservatorio ha suddiviso i contratti del 2015 tra quelli che non beneficiano dell'esonero e quelli che invece lo hanno sfruttato: per i primi il tasso di cessazione a 39 mesi è del 62,9%, per i secondi ancor più positivo al 59,5 per cento.

 

Restano sullo sfondo altre variabili, quali il ciclo economico, la dimensione delle aziende e altri cambiamenti (si pensi alle dimissioni elettroniche) intervenuti nel frattempo. Ma, spiegano dall'Osservatorio, è difficile ipotizzare che la diversa forza della ripresa possa da sola giustificare - a solo un anno di distanza - una così differente performance delle due diverse truppe di lavoratori.

 

(La Repubblica)