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Coronavirus in Lombardia, "assalto multiplo e concentrico da ceppi diversi": lo studio del San Matteo e del Niguarda

Gli esiti dello studio sulle sequenze genomiche di 346 pazienti affetti da Covid-19 raccolti dal 22 febbraio scorso ai primi di aprile: due diverse famiglie del virus hanno agito a Sud (tra Lodi e Cremona) e a Nord (Bergamo) attive già a fine gennaio

 

di ALESSANDRA CORICA

 

10 luglio 2020

 

Un virus che ha colpito la Lombardia come in una guerra, "con tanti carri armati che hanno attaccato la regione da più fronti diversi nello stesso momento". Un "assalto multipo e concentrico", insomma, che si è avvenuto contemporaneamente causando così "il disastro", come lo definisce Carlo Federico Perno, direttore della Medicina di laboratorio del Niguarda di Milano. Il Sars-Cov-2 era presente in Lombardia già da metà gennaio e ha circolato nella regione più colpita con almeno due "ceppi", due linee o famiglie principali, una nel sud della Lombardia tra Lodi e Cremona, e un'altra nel centro nord a partire da Bergamo: sono le conclusioni di uno studio condotto da Perno e da Fausto Baldanti, numero uno della Virologia molecolare del San Matteo di Pavia, con il sostegno della Fondazione Cariplo.

 

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Lo studio fotografa le sequenze genomiche di 346 pazienti affetti da Covid-19 provenienti da tutta la Lombardia, raccolti dal 22 febbraio scorso ai primi di aprile. Gli esiti dello studio - che si è accompagnato all'analisi del sangue di 390 donatori della zona di Lodi, che ha permesso di retrodatare la presenza del virus in Lombardia almeno a metà gennaio 2020 - certificano che il virus è sostanzialmente stabile e presenta pochissime variazioni, cosa che fa ben sperare per quanto riguarda le ricerche finalizzate alla sintetizzazione di un vaccino efficace.

 

"È importante sottolineare le implicazioni per il futuro. E le implicazioni sono che il virus è stabile - sottolinea l'immunologo Alberto Mantovani, coordinatore della Commissione ricerca scientifica di Fondazione Cariplo e direttore scientifico dell'istituto Humanitas - Questo vuol dire che il virus in quanto bersaglio di vaccini è stabile ed è anche relativamente stabile dal punto di vista dell'uso degli anticorpi. Quindi c'è un'importante proiezione per il futuro. Ci sono poche mutazioni che non cambiano per quanto ne sappiamo l'aggressività del virus, non si vedono in queste 346 sequenze complete del virus varianti attenuate".

 

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Ma non solo: lo studio, "il più più ampio sino a oggi condotto sul sequenziamento del virus Sars-Cov-2 in Lombardia", ricorda Perno, ha permesso di identificare due ceppi, o "linee" di trasmissione, che contemporaneamente si sono diffuse in Lombardia. Prima "sottotraccia, presumibilmente coperte dal picco della stagione influenzale tra dicembre e gennaio", spiega Baldanti. E poi, dal 21 febbraio, in modo palese e sempre più aggressivo. La prima linea è quella che ha riguardato la zona del sud della Lombardia, tra Lodi (dove fu creata la prima zona rossa su dieci comuni con 50 mila abitanti) e Cremona, diffusasi presumibilmente a partire dal 24 gennaio scorso. La seconda, che sarebbe anche quella che ha circolato in maniera principale a Milano e nel nord della città, partita dalla Bergamasca e manifestatasi nei focolai di Alzano e Nembro, circolante dal 27 gennaio. "Questo significa che quando a Codogno è stato trovato il virus, ad Alzano già c'era - aggiunge Perno -. Quindi la chiusura della zona rossa nella bergamasca sarebbe stata una chiusura con il virus già dentro, anche se fosse stato chiuso al momento di Codogno. Questo non significa che non si dovesse fare, sono valutazioni in cui non entro, ma sappiate che quando il virus è stato dimostrato a Codogno era già ad Alzano".

 

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Una doppia epidemia, insomma. Entrata in Lombardia almeno a metà gennaio, come dimostra la presenza in 5 donatori di sangue della zona di Lodi già a metà febbraio di anticorpi contro il virus (che si formano dopo circa un mese dopo l'ingresso nel corpo umano del virus). E che è arrivato in Italia non direttamente dalla Cina, ma "mediato" dall'Europa: "Il virus ha caratteristiche genetiche molto più simili a quelli oggi presenti in Europa che non a quelli circolanti in Cina - spiega Baldanti - L'ingresso quindi non è diretto dalla Cina ma mediato da una fase Europea. Quando è stato riscontrato il primo caso a Codogno, in una forma leggermente diversa, lo stesso era già presente nella zona nord (includente Alzano e Nembro)".

 

(La Repubblica)