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I robot rubano il lavoro? In Italia spingono a cercarlo altrove

Lo studio di Banca d'Italia: la loro introduzione ha spinto a una ridistribuzione dell'occupazione verso i settori meno esposti all'automazione. Ma allo stesso tempo ha fortemente limitato l'ingresso di forze nuove

 

di MAURIZIO RICCI

19 Settembre 2020

 

Il robot ti frega il lavoro, oppure no? Dipende. In America sì, dicono gli economisti americani. In Germania no, dicono gli economisti tedeschi. E in Italia? La risposta è che siamo un po' tedeschi. Da noi, infatti, il robot non ti ruba il lavoro, provocando ondate di licenziamenti. Ma te lo nega, impedendo la tua assunzione. Complessivamente, però, l'occupazione non ne ha risentito, a vedere un quarto di secolo di dati, dal 1991 al 2016. “Non c'è – dice uno studio, “Robot e occupazione”, della Banca d'Italia – impatto sistematico e statisticamente significativo di un'alta esposizione ai robot sulla crescita complessiva dell'occupazione”. E neanche “sul rapporto tra occupazione e popolazione”, cioè i robot non hanno spinto la gente a rinunciare a cercare un lavoro. Come prevedevano i manuali di economia, almeno i più ottimisti, insomma, l'automazione ha spinto, con successo, ad una redistribuzione dell'occupazione, dai settori più esposti ai robot, come l'industria manifatturiera, a quelli meno esposti, come i servizi. Almeno, aggiunge prudentemente la ricerca, fino ad ora.

 

In realtà, il robot con sembianze vagamente umanoidi che sposta i pacchi di Amazon o assembla le Jeep della Fiat è solo uno spicchio del più ampio processo di automazione, in cui, più dei robot, pesano probabilmente gli sportelli Bancomat, i biglietti del treno online e le analisi del sangue processate via software. Tuttavia, è il robot, come il Baxter delle linee di montaggio, che ha catturato l'immaginazione popolare. E l'Italia è piena di robot. In Europa, solo la Germania ne ha di più. Sono concentrati nell'industria dell'auto, a rivoluzionare le vecchie linee di montaggio. Ma sono presenti in forza anche nella metallurgia e, negli ultimi anni, sempre di più nella plastica e nell'industria alimentare.

 

La loro progressiva introduzione, dice lo studio di Via Nazionale, non ha terremotato l'occupazione. Al contrario, i lavoratori rimasti in fabbrica quando arrivano i robot tendono a mantenere più a lungo il loro posto di lavoro. Non perdono salario, ma neanche ne guadagnano. Tuttavia, la maggiore stabilità della loro occupazione consente di accumulare reddito più a lungo. Quello che vale per il singolo lavoratore, però, non vale per la vita della fabbrica. Lo studio della Banca d'Italia valuta che, nell'arco degli anni, su mille dipendenti l'arrivo di ogni robot abbia comportato la perdita di cinque posti di lavoro. Non perché ci sono stati cinque licenziamenti. Ma, a pagare per l'arrivo di Baxter e dei suoi simili, sono stati i giovani, che non hanno trovato posto in fabbrica. Il lungo declino dell'occupazione nell'industria manifatturiera, infatti, più che di tagli, è fatto di progressivo restringersi dei flussi di ingresso di nuovi lavoratori. Senza i robot, i colletti blu nell'industria manifatturiera sarebbero il 20 per cento in più: la ricerca attribuisce, infatti, all'automazione un quinto del declino dei posti di lavoro nel settore.

 

Compensati, però, da posti di lavoro trovati altrove, soprattutto nei servizi, come, del resto, suggerisce il grande trend verso la deindustrializzazione dei paesi occidentali. Questa sostanziale superamento della crisi da robot vale, secondo la ricerca, non solo a livello nazionale, ma anche restringendo l'analisi ai singoli bacini locali del mercato del lavoro. E' la differenza più vistosa – che ci accomuna alla Germania – con quanto avvenuto con l'impatto dei robot, negli Stati Uniti, dove, invece, se l'occupazione complessiva ha tenuto, a livello locale l'automazione delle fabbriche ha comportato vistosi effetti di spiazzamento e dolorose ricollocazioni di ampie fasce di lavoratori. Dove nasce la differenza? Ancora una volta, la differenza fra i mercati del lavoro europei e quello americano la fanno i diversi livelli di protezione del posto di lavoro e la minore mobilità degli occupati. Ma, nel caso dei robot, avverte la ricerca, c'è anche una diversa composizione dei settori esposti all'automazione. In Germania e in Italia i robot sono finiti soprattutto nelle fabbriche dei settori maturi, come auto e plastica. Negli Stati Uniti, invece, è stato investito un comparto a forte espansione e ad alto tasso di innovazione, come l'elettronica. Un riposizionamento dell'industria europea verso settori più dinamici e moderni potrebbe comportare una dinamica dell'occupazione più vicina a quella americana.

 

(La Repubblica)