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Refrattari al fisco per 440 miliardi

RISCOSSIONE/ Dal direttore Ruffini i numeri del deterioramento della riscossione

I refrattari cronici al pagamento delle tasse devono allo stato italiano e agli enti locali qualcosa come 440 miliardi di euro. Si tratta tecnicamente di debitori già assoggettati ad azioni cautelari infruttuose

 

di Andrea Bongi

 

I refrattari cronici al pagamento delle tasse devono allo stato italiano e agli enti locali qualcosa come 440 miliardi di euro. Si tratta tecnicamente di debitori già assoggettati ad azioni cautelari infruttuose, cioè gente che come vede arrivare a casa comunicazioni degli agenti della riscossione semplicemente le straccia. A loro è imputabile quasi la metà del cosiddetto «magazzino della riscossione»: 987 miliardi di euro di crediti dello stato e degli enti locali di cui solo una minima parte può essere considerata ancora riscuotibile, visto che prevalentemente siamo di fronte a crediti vantati nei confronti di soggetti falliti, deceduti, nullatenenti e, appunto, refrattari ad adempiere ai propri obblighi tributari e contributivi. La fotografia, impietosa, aggiornata al 30 giugno 2020, è stata scattata dallo stesso direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, che ha elencato, una ad una, nel corso dell'audizione tenuta lo scorso 14 settembre presso la Camera dei deputati, le criticità di tale portafoglio e le cause che hanno portato all'accumulo di un arretrato così pesante e difficile da smaltire (si veda ItaliaOggi del 15 settembre scorso). Anche quando non siamo in presenza di situazioni soggettive non risolvibili i crediti hanno comunque scarse possibilità di essere riscossi perché sono troppo datati nel tempo. A tale ultimo proposito basti pensare che il 35% dei crediti ha infatti più di dieci anni, mentre il 34% di essi ha un'età compresa fra i cinque ed i dieci anni. Una vera e propria montagna di carta dunque (si veda tabella in pagina), formata da milioni di cartelle esattoriali che lo stesso direttore non ha esitato a definire solo formalmente ancora da riscuotere. L'accumulo dei debiti fiscali, ha detto testualmente Ruffini, assume proporzioni non coerenti con gli standard internazionali, in mancanza di una prassi per la cancellazione delle posizioni non più riscuotibili. Anche le misure poste in essere negli ultimi anni finalizzate allo smaltimento, per quanto possibile, del magazzino dei crediti a ruolo, non sembrano aver dato i frutti sperati. I vari provvedimenti di rottamazione dei crediti a ruolo e di saldo e stralcio dei debiti sembrano non aver inciso in maniera significativa, sulla riduzione complessiva del volume dei crediti da riscuotere. La scarsa incidenza di tali provvedimenti è dovuta, ancora una volta, dall'anomala consistenza dell'importo totale dei crediti da riscuotere, composto principalmente da debiti che si sono andati stratificando negli anni a partire dal 2000 e che ormai esistono solo sulla carta in quanto, parole testuali di Ruffini, «sostanzialmente privi di concrete possibilità di essere definitivamente riscossi». Le ragioni di un tale deterioramento sono di due tipi. Una è riconducibile all'estrema parcellizzazione della riscossione alla quale, ogni anno, circa 5.600 differenti enti affidano crediti. A tale varietà di soggetti corrispondono anche variegate regole di riscossione coattiva che rendono impossibile per il concessionario eseguire con efficacia e rapidità le procedure. La seconda ragione, già evidenziata anche dagli organismi internazionali (Ocse e Fmi) risiede in una prassi, tutta italiana, di mancata cancellazione dei debiti arretrati e inesigibili. Con possibili gravi ripercussioni sul bilancio pubblico.

 

19/09/2020

(Italia Oggi)