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Il tramezzo dell’appartamento? Si sposta senza permesso

Stop ai picconi. C'è solo una sanzione pecuniaria perché basta la comunicazione di inizio lavori per le opere che non interessano le parti strutturali del fabbricato. La giurisprudenza dei Tar su Scia e Cila

 

Pagine a cura di Dario Ferrara

 

Il tramezzo dell'appartamento si sposta senza permesso di costruire e non deve essere abbattuto anche se manca la comunicazione di inizio lavori. Stop ai picconi, dunque: restano dove sono ora il bagno e il ballatoio per l'accesso alle singole stanze costruiti al primo piano della casa. E ciò perché la sanzione demolitoria scatta soltanto quando gli interventi edilizi sono realizzati senza i necessari titoli abilitativi, mentre basta la comunicazione di inizio lavori per le opere che non interessano le parti strutturali del fabbricato. È quanto emerge dalla sentenza 905/20, pubblicata il 15 luglio dalla seconda sezione della sede di Salerno del Tar Campania.

 

Il caso. È accolto uno dei motivi di ricorso proposti dalla proprietaria di un vecchissimo fabbricato, peraltro danneggiato dal terremoto che colpì l'Irpinia nel lontano 1980. Annullata l'ordinanza emessa dal comune che ingiunge di abbattere i manufatti costruiti al primo piano, dove risulta ricavato un piccolo gabinetto accanto ai tre vani esistenti. Il tutto sul rilievo che le opere realizzate si sostanzierebbero in una diversa distribuzione degli ambienti. Il che è vero. Il punto, però, è che abbattere e ricostruire le tramezzature costituisce un'attività assoggettata alla mera comunicazione di inizio lavori, la Cila, ex articolo 6-bis del testo unico per l'edilizia, a patto che non intervenga su elementi portanti dell'edificio. E la mancata comunicazione impone la mera sanzione pecuniaria, così come quando manca la Scia per gli interventi che invece interessano le parti strutturali del fabbricato ex articolo 22, primo comma, del dpr 380/01. Trova ingresso, insomma, la censura che contesta la legittimità dell'ordinanza di demolizione nel momento in cui l'amministrazione ingiunge la rimozione dei manufatti realizzati sul primo piano, che si risolvono nella diversa distribuzione degli ambienti. Gli interventi «incriminati», infatti, costituiscono opere di manutenzione straordinaria ex articolo 3 del Testo unico dell'edilizia, che non alterano la sagoma dell'edificio e non implicano una modifica dei volumi perché sono realizzate all'interno dell'immobile: in quanto tali possono essere assentiti dall'amministrazione con la Scia e non con permesso di costruire.

 

Quanto alla scala interna in ferro che collega i due piani della costruzione, è sufficiente l'autorizzazione sismica in sanatoria depositata agli atti a far decadere il profilo di contestazione.

 

I precedenti dei Tar. E sempre su una scala, stavolta esterna, interviene sempre il Tar Salerno con la sentenza 1900/19 pronunciata ancora in tema di abusi edilizi e ordine di demolizione. Trova ingresso la censura secondo cui il comune non potrebbe contestare la mancata realizzazione di una scala esterna, pur prevista nel progetto, perché l'interessato ha la piena facoltà di decidere di non eseguire un'opera che pure risulta autorizzata. Il provvedimento emanato dall'amministrazione non può essere ritenuto legittimo: diversamente l'ordine di demolire si trasformerebbe in un ordine di fare, obbligando l'interessato a realizzare l'opera che, anche se riportata nell'elaborato progettuale autorizzato, non era stata tuttavia costruita. Da una condotta puramente e semplicemente negativa, d'altronde, non può derivare alcuna trasformazione del territorio: l'omesso esercizio di una facoltà lascia inalterato lo stato dei luoghi. A meno che la mancata esecuzione non alteri in qualche modo prospetti, volumi, sagoma o altri elementi rilevanti dal punto di vista urbanistico o edilizio, dell'opera a realizzarsi o non comporti la realizzazione di un manufatto del tutto diverso da quello autorizzato. Il che, però, non può dirsi avvenuto per la mancata realizzazione di una semplice scala. E anche nell'attività commerciale la diversa distribuzione interna all'attività commerciale eseguita senza titolo autorizzativo non può essere sanzionata con la demolizione, chiarisce sempre il Tar Salerno, con la sentenza 1042/18, che accoglie il ricorso proposto dal conduttore dell'esercizio pubblico. Non serve il permesso di costruire ma bastava la Dia per i lavori in casa necessari a cambiare la disposizione di bagno e cucina nell'appartamento: il mero spostamento di tramezzi, emerge dalla sentenza 11831/15, pubblicata dalla sezione prima quater del Tar Lazio - non comporta aumento di volumi nell'immobile e, dunque, non può essere ritenuto una ristrutturazione edilizia abusiva. Insomma: il proprietario dell'appartamento se la casa con la sanzione pecuniaria, evitando la demolizione dell'opera.

 

Sbaglia Roma Capitale quando sostiene che l'intervento sarebbe riconducibile alla fattispecie della ristrutturazione prevista dall'articolo 10, comma 1, lettera c) del testo unico dell'edilizia, vale a dire modifiche della sagoma, dei prospetti e delle superfici, che sono soggette al rilascio del permesso di costruire. In verità l'intervento edilizio che comporta soltanto una diversa distribuzione degli spazi interni è subordinato soltanto alla segnalazione di inizio attività. I manufatti che non comportano modifiche del volume e delle superfici o mutamenti della destinazione d'uso non sono subordinati al preventivo rilascio del permesso di costruire. Non basta la mera Dia nel caso in cui la diversa distribuzione degli spazi interni si inserisce in un più articolato complesso di interventi di ristrutturazione: nasce infatti un nuovo organismo edilizio e serve il previo rilascio del permesso di costruire. Altro errore del Comune: non c'è l'abuso edilizio per la trasformazione di un vano finestra in nicchia per il posizionamento di una caldaia nel locale cucina.

 

E ciò perché non c'è la tamponatura :alla finestra dalla parte interna è stata appoggiata una caldaia e attraverso la finestra fatto uscire il tubo di scarico, senza modifiche dall'esterno. Insomma si configura solo l'alloggiamento dell'impianto davanti all'apertura e il provvedimento impugnato risulta inficiato da un vizio di travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Ancora. Resta in piedi il tramezzo con il quale il proprietario ha creato nel box auto due nuovi vani, vale a dire il ripostiglio e il bagno: è escluso, spiega la sentenza 4633/13, pubblicata dalla quarta sezione del Consiglio di stato, che servisse il permesso di costruire prima di iniziare i lavori laddove manca comunque un aumento di volumetrie e non cambia certo la destinazione dei locali, che continuano a essere utilizzati come garage.

 

Risultato: deve essere annullato l'ordine di demolizione emesso dal Comune di Roma. Accolto il ricorso del proprietario del box, secondo cui è sufficiente la Dia in sanatoria per regolarizzare le opere. È escluso che il tramezzo costituisca un intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 10, comma 1 del dpr 380/01. Anche qui è questione di gradini: passa la tesi dell'interessato secondo cui la scala di collegamento tra l'appartamento e il garage era regolarmente prevista in progetto, mentre i due vani realizzati con il tramezzo nella rimessa, di cui uno con i servizi igienici, sono privi di finestre e non possono essere imputati a un uso residenziale.

 

La semplice realizzazione di un servizio sanitario e di un ripostiglio non può di per sé integrare un mutamento non autorizzato dell'intero box da autorimessa a usi abitativi: la presenza degli accessori è del tutto compatibile con il mantenimento dell'uso originario ad autorimessa.

 

In particolare non risultano realizzate di nuove volumetrie e di altre opere strutturali che comportano una modificazione del fabbricato realizzato rispetto al previsto: la realizzazione abusiva, quindi, non integra un mutamento di destinazione di uso del vano preesistente che sia realmente urbanisticamente rilevante.

 

In definitiva: il tramezzo non ha creato una nuova costruzione e il proprietario potrà comunque ottenere l'accertamento di conformità di cui all'articolo 36 del Testo unico per l'edilizia.

 

21/09/2020

(Italia Oggi)